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News | di Matteo Gamba |

Contagi in risalita in Germania dopo le riaperture e ritorno alla Fase 1? È falso

Da tre giorni in Italia giornali e tv raccontano che l’indice R0 di contagiosità del Covid-19 è salito a 1 e che il governo tedesco vorrebbe tornare indietro sulle aperture (tra l’altro, fin dall’inizio più ampie che da noi e con risultati molti più efficaci). Peccato che media e politici tedeschi non ne parlino. E che il dato non sia così. Vi spieghiamo tutto, facendo un po’ di calcoli e ascoltando la testimonianza di un italiano che ci ha contattato da Dusseldorf

“Il tasso dei contagi risale dopo le riaperture: la Germania torna alla Fase 1”. Addirittura: “Allarme per un’impennata di contagi in Germania”. In questi ultimi tre giorni abbiamo letto e sentito questo sui media italiani. Ma è vero? No. Lo dimostrano i dati, i media e le autorità tedesche che non ne hanno parlato e la testimonianza dei tanti che ci hanno contattato dalla Germania. Da un Paese portato a modello nella gestione dell’emergenza coronavirus: al momento sesto al mondo per casi (161.539 contro i 203.591 dell’Italia, terza), conta un numero di morti in proporzione molto più basso rispetto agli altri (6.467 rispetto ai 27.682 del nostro paese per esempio).

Nessuno qui in Germania ha parlato di un indice di contagio risalito a 1 né tanto meno del fatto che si voglia tornare alla Fase 1, che qui tra l’altro non chiamano così, o ripensare la politica delle riaperture”, ci racconta al telefono Stefano Mento, romano che vive e lavora da 9 anni a Dusseldorf, uno dei tanti che ci ha contattato. “Nella fase del lockdown hanno chiuso le scuole e proibito gli assembramenti ma non hanno impedito alla gente di uscire e lavorare. E non c’erano autocertificazioni, poliziotti, droni o posti di blocco continui. Dal 4 maggio, dopo le prime riaperture dei negozi del 20 aprile, molti bambini e ragazzi torneranno in classe, riapriranno anche i parrucchieri, per esempio, fatto salvo il rispetto della distanza di un metro e l’evitare assembramenti superiori a 50 persone. Riapre quasi tutto insomma e nessuno pensa di tornare indietro. Stanno già preparandosi anche alla stagione estiva da giugno, con la possibilità di riprendere a usare gli aerei con accordi con alcuni altri paesi. Se gli infettati non supereranno l’1% della popolazione di 83 milioni di abitanti non ci sarà nessun dietrofront”.

Ma ripartiamo dai dati. Al centro delle notizie date in Italia c’era l’indice R0 (si legge “erre con zero”), che misura il numero di persone contagiate in media da una persona infetta e che dà un quadro importante dell’andamento di un’epidemia. Per l’Istituto Koch di Berlino, responsabile di controllo e prevenzione delle malattie infettive e una delle massime autorità del mondo in materia, in Germania i dati dell’R0 sono questi: a inizio marzo era a 3 (tre persone contagiate da ogni infetto), dal 21 marzo si è stabilizzato attorno a 1, dal 15 aprile è rimasto sempre sotto questa cifra. È un elemento molto importante perché sotto a 1 il dato ci dice che l’epidemia tende a rallentare.

Da dove sono nati gli allarmi italiani? Il 27 aprile l’R0 in Germania è stato dello 0,96 (arrotondato a 1). Il giorno dopo è già sceso a 0,90, lo stesso registrato il 20 aprile quando ci sono state le prime riaperture. Quindi il dato non ha subito variazioni con l’allentamento delle restrizioni. C’è stato solo un leggero aumento dal 18 aprile, ma restando comunque sotto i livelli di guardia. Ieri, 29 aprile, l’R0 era a 0,75, uno dei dati più bassi mai registrati qui (è il secondo più basso nella serie dal 7 aprile quando si partivada 1,3) Il livello 1 non è mai stato di fatto oltrepassato e non solo: per destare allarme deve ripetersi per qualche giorno per essere statisticamente attendibile. E infatti in Germania nessuno, politici, media o autorità sanitarie, si è allarmato.

Perché in Italia si è scritto il contrario? Facile pensare che la questione sia stata usata all’interno delle polemiche sulle poche riaperture decise dal governo Conte per il 4 maggio prossimo. “Il messaggio è che si riapre con il massimo della prudenza. Basta poco per tornare indietro e il caso della Germania lo dimostra”, ha detto per esempio il ministro della Sanità Roberto Speranza il 28 aprile durante la trasmissione DiMartedì su La7.

In Italia intanto, secondo quanto ha dichiarato il 23 aprile il presidente del Consiglio superiore di sanità Franco Locatelli l’R0 è sceso a livelli compresi tra 0,5 e 0,7. Il presidente dell’Istituto superiore di sanità (Iss) Silvio Brusaferro ha appena dichiarato che l’indice Rt, che misura la trasmissibilità con un altro modello matematico, è inferiore a 1 in tutte le regioni.

A proposito, perché l’approccio della Germania, pur colpita da tantissimi casi ma con un tasso di mortalità molto più basso degli altri principali paesi, è considerato un modello? Dietro non ci sono ricette miracolistiche. L’organizzazione tedesca è sembrata da tradizione più efficiente, forte della sanità forse migliore al mondo.

I contagiati sono stati curati quanto più possibile a casa attraverso la rete dei medici di base per evitare il rischio di lazzaretti nelle corsie degli ospedali fonti di contagi continui. È stata evitata quanto più possibile, davvero, la morte degli anziani nelle case di cura. Si è proceduto a test e trattamenti precoci, forti di un numero di posti letto in terapia intensiva per i malati più gravi, per esempio, che è 5 volte superiore a quello italiano. Tamponi, guanti e mascherine c’erano e non c’è stata una ecatombe di medici e infermieri e quindi nemmeno un’eccessiva diffusione del coronavirus da parte degli operatori sanitari.

Le misure di contenimento decise dal governo Merkel sono state tempestive, senza ritardi o allarmismi e senza nessun bollettino quotidiano di morti e contagiati. Sono state meno stringenti che in Italia (avete presente le immagini che ci ha mandato Giulia di un normale giovedì a Berlino? Cliccate qui) e sono state osservate con tradizionale disciplina.

Non c’è stato nessun miracolo appunto, solo un approccio efficace al contenimento del Covid-19. Come oggi non c’è alcun nuovo allarme per presunte risalite dei contagi dopo i primi allentamenti del lockdown e non c’è nessuna volontà di tornare indietro sulle riaperture, anche stavolta molto più estese che da noi.

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