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Ambulanza della morte, ergastolo a Garofalo: la storia agghiacciante scoperta da Le Iene | VIDEO

Ergastolo per Davide Garofalo, uno dei due barellieri dell’ambulanza della morte di Biancavilla (per l’altro si attende il rito abbreviato). È la sentenza di primo grado del Tribunale di Catania: il processo è partito dal primo servizio di Roberta Rei con cui nel 2017 abbiamo scoperto questa storia agghiacciante che ha fatto il giro del mondo, che abbiamo continuato a seguire negli anni e di cui vi riparleremo in onda (siamo anche stati ascoltati in aula). Alcuni malati molto gravi sono stati fatti morire durante il trasporto a casa dall’ospedale con iniezioni d’aria. Per intascare più soldi

Ergastolo a Davide Garofalo. Si conclude così il primo processo per la storia terribile dell’“ambulanza della morte” di Biancavilla, scoperta grazie ai servizi de Le Iene, con una notizia che ha fatto il giro del mondo. L’abbiamo seguita con molti servizi di Roberta Rei a partire dal 2017 e ve ne torneremo presto a parlare in onda (qui l’ultimo del 2 aprile scorso, sopra il primo che ha fatto partire l’inchiesta).

Il caso è quello dell’ambulanza privata su cui nella cittadina del Catanese alcuni malati molto gravi sono stati fatti morire durante il trasporto a casa dall’ospedale con iniezioni d’aria che ne provocavano il decesso per embolia. Il tutto per intascare più soldi per il trasporto di un morto, la vestizione e la chiamata per il servizio funebre. I soldi sarebbero stati poi divisi con i clan mafiosi di Biancavilla e Adrano. Le vittime di questo sistema agghiacciante, come vi abbiamo raccontato, potrebbero essere molte di più.

Garofalo, 46 anni, è stato appena condannato in primo grado a Catania al carcere a vita per omicidio aggravato ed estorsione aggravata dal metodo mafioso. Gli omicidi sono quelli di tre persone tra il 2014 e il 2016. La procura aveva chiesto la condanna a 30 anni. L'inchiesta è partita dal nostro primo servizio del 2017 che trovate qui sopra e siamo anche stati sentiti come testimoni. Nell'ambito dello stesso procedimento è imputato, per un altro decesso, il barelliere Agatino Scalisi ma il processo, che pure si celebra con il rito abbreviato, non è stato ancora definito.

“Se c’era uno in agonia, a volte non moriva per mano di Dio. Siccome era in agonia moriva, così chi lo trasportava guadagnava 300 euro anziché 50, 30 o 20”, hanno raccontato per la prima volta a noi de Le Iene Marco e Antonio, due fratelli titolari di un’agenzia di pompe funebri, oggi testimoni di giustizia. “Quando loro trasportavano i malati facevano delle iniezioni d’aria nelle vene, avevano il totale controllo dei funerali e del trasporto dei morti dall’ospedale a casa. Velocizzavano la morte dei pazienti per guadagnare di più”, sostengono parlando dei due presunti “ambulanzieri della morte” Davide Garofalo e Agatino Scalisi che avrebbero agito con l’appoggio dei clan. Roberta Rei ha incontrato Scalisi che ha negato tutto (come ha fatto in aula anche Garofalo): “Trasporto solo persone vive, devo dare da mangiare alla mia famiglia e ne sono orgoglioso. Devo andare a rubare?”.

Marco e Antonio hanno provato a resistere alle aggressioni anche fisiche dei clan che si sarebbero impossessati pure della loro ambulanza. A bordo avrebbero piazzato appunto due persone. “Dietro di loro ci sono due gruppi che hanno fatto la storia criminale di quel comprensorio. C’è stata una guerra di mafia, morti ammazzati nelle strade, bambini uccisi. Mi mancava l’aria in quel sistema, quando ho denunciato sono tornato a respirare”, dice Antonio, che si è convinto a parlare dopo la nostra intervista del 2017 al fratello Marco, che dopo 7 anni di lotta contro le pressioni mafiose aveva deciso di parlare con Roberta Rei.

“Ho fatto 50 morti l’anno dal 2013”, è lo scenario inquietante prospettato da Antonio con un possibile numero più ampio di vittime. “Non vuol dire che tutti siano stati fatti con siringa, come non vuol dire che sono tutte morti naturali”. “Quando non riuscivano con l’iniezione, lo facevano con il cuscino”, racconta Antonio. E alcuni parenti dicono a Roberta Rei di aver trovato i loro cari proprio con la bocca spalancata.

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