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“Ecco come si vive nell'Arca di Noè di Biagio Conte, che salva gli emarginati”

Dopo il servizio sul “San Francesco di Palermo”, e il grande successo che ha avuto, uno dei volontari ci racconta le comunità

“Le comunità che ha fondato Biagio Conte sono come un'Arca di Noè, che salva e dà una nuova possibilità di vita a chi viene emarginato dalla società”. Dopo che mercoledì vi abbiamo raccontato Biagio Conte in onda, oggi ci concentriamo in maniera più ampia su come si vive nelle comunità Missione di Speranza e Carità che ha fondato (tre a Palermo e tre nelle campagne vicine). Lo facciamo, con un'intervista, attraverso le parole di Antonio Fulco, 31 anni, ricercatore universitario in Biologia, volontario da 12, che interviene anche nel servizio di Nina Palmieri e di Massimo Cappello.

Biagio Conte, 54 anni, laico consacrato, nel 1990 si spogliò degli averi di una vita agiata per dedicarsi ai poveri, come San Francesco. Nel servizio tv, che ha avuto un grandissimo successo di pubblico anche su Internet e che vi riproponiamo qui sotto, lo abbiamo seguito nel suo ultimo digiuno a Palermo fatto “per risvegliare le coscienze”. La sua filosofia? Parte da una frase: “Una società che lascia indietro i più deboli non può essere una società giusta”. Fratel Biagio, da quasi trent'anni, ha accompagnato le parole con i fatti, per cercare di cambiare la società attraverso le sue comunità.

Antonio Fulco, come ha incontrato le missioni?
“Quasi per caso. Ero arrivato da non credente, per studiare, dalla Basilicata a Palermo. Qui avevo già iniziato un percorso di conversione. Un giorno, volevo donare dei vestiti ai poveri e nella Chiesa sotto casa mi dissero di darli a Biagio Conte. Non lo conoscevo: fu così che scoprii le comunità, che non ho più lasciato”.
Quante persone le frequentano?
“Oltre mille. Siamo un'Associazione pubblica di fedeli che accoglie chiunque ha bisogno: senza tetto, giovani sbandati, prostitute, ex detenuti, anziani abbandonati, padri separati , malati. E naturalmente immigrati, che oggi sono i due terzi dei Fratelli Accolti”.
Come li aiutate?
“Si parte dai bisogni essenziali: mangiare e dormire. Poi possono vestirsi, lavarsi e ricevere cure dai nostri medici volontari. Ma non ci fermiamo qui”.

Quali sono le altre forme di assistenza?
“Cerchiamo di occuparci di ogni aspetto della vita. La società ti ha emarginato? Noi diciamo: ‘ti vogliamo bene e ti stiamo vicino'. Restituiamo l'affetto della famiglia che spesso, per vari motivi, manca. Accompagniamo e assistiamo i malati in ospedale e offriamo pure una consulenza giuridica con avvocati volontari. L'idea è: ‘Non importa cosa hai fatto in passato, ci interessi oggi'. Per chi poi non vuole venire da noi, c'è la Missione Notturna, un camper che ogni città gira per la città e offre cibo e assistenza a chi vive per strada”.
Quanto si può restare in una comunità?
“Non c'è una scadenza. Uno può restare una notte, una settimana, un mese, come per tutta la vita. C'è chi è rimasto dall'inizio, da 27 anni”.

Quanti volontari coordinano le attività?
“Saremo un centinaio fra volontari interni ed esterni alla missione ma in realtà sono gli stessi Fratelli Accolti a far funzionare tutto. Abbiamo dei terreni che ci ha donato la Curia in comodato d'uso e che coltiviamo. Produciamo 250 kg di pane al giorno dal grano che raccogliamo e maciniamo, l'olio dagli uliveti e gli ortaggi dai campi. Non vendiamo niente. Il guadagno non è in soldi ma nella vita che può ripartire. E c'è anche un altro aspetto”.
Quale?
“Qui si impara un lavoro e l'importanza del lavoro. Il motto è ‘Sbracciati e datti da fare', rimboccati le maniche, insomma. Abbiamo laboratori per elettricisti, falegnami, fabbri, ceramisti, restauratori, cuochi… Si possono apprendere nuovi mestieri o migliorarli. La società ti ha emarginato? Noi mostriamo quanto vali. Abbiamo scoperto pure dei veri artisti”.
Qualche esempio?
“La Chiesa della comunità è stata costruita dai Fratelli accolti e Papa Francesco, durante l'ultimo Giubileo, l'ha scelta come una delle Porte Sante, quella dei poveri. Dentro ci sono una Via Crucis scolpita a mano in legno da un fratello ghanese, le sculture in marmo di un fratello siciliano, i dipinti di un fratello musulmano. Anche questo è un aspetto bellissimo. Da noi mille persone di tutte le religioni vivono in pace, in una comunità che si mantiene da sola”.

Di soldi e di qualche aiuto dall'esterno ci sarà comunque bisogno.
“Sì, noi accettiamo solo donazioni e offerte. Che arrivano da tutti, non solo in denaro. Ci regalano materassi, vestiti, pasta, saponi, lenzuola, qualsiasi cosa. La Provvidenza ci fa andare avanti e questa Provvidenza si concretizza nel gran cuore della gente di Palermo”.
Abbiamo seguito Biagio nel suo ultimo digiuno di dieci giorni. Cosa chiedeva?
“Voleva scuotere le coscienze e richiamare l'attenzione sui problemi di chi ha bisogno. A Palermo non si può continuare a dire ‘Tanto ci pensa Biagio Conte': lui da solo non ce la fa. Voleva dire: prendiamoci tutti carico degli altri. Non a caso il suo nuovo motto è ‘Adottiamo un povero'. Se lo facessimo tutti, la povertà scomparirebbe”.

E l'attenzione è arrivata, dalla lettera che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha inviato a Biagio Conte a quella processione di cittadini e autorità da lui, che dormiva in mezzo ai cartoni davanti alle Poste centrali, che potete vedere qui sotto nel servizio di mercoledì di Nina Palmieri e Massimo Cappello.

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