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“Mia madre, perseguitata e uccisa dall'ex, nel silenzio dello Stato”

Anna Rosa Fontana è stata uccisa dall'uomo che cinque anni prima l'aveva accoltellata riducendola in fin di vita

“L'ha perseguitata per tanti anni. Se avessero fatto qualcosa, a quest'ora un abbraccio di nostra madre lo potevamo ancora avere”. Antonio, a 24 anni, per la prima volta ha trovato la forza di raccontare la storia di sua madre, Anna Rosa, che è stata uccisa sotto i suoi occhi quando aveva 17 anni. Una storia che è anche di cecità e assenza delle istituzioni. “Spero che venga fatta giustizia, se esiste la giustizia”, insiste non a caso il ragazzo.

Anna Rosa è stata uccisa da un uomo perché non lo amava più. Il 7 dicembre 2010 Paolo Chieco, 53 anni, l'ha accoltellata per sei volte davanti al portone di casa, di fronte al figlio Antonio. Era la seconda volta che provava ad ammazzarla, ce l'ha fatta.

Nel luglio 2005 l'uomo aveva già accoltellato Anna Rosa, per 15 volte, dentro casa. Lei sopravvive per miracolo. Se allora il destino sembrava averla voluta salvare, questa volta è stata anche la giustizia a condannarla. Nonostante, nel 2006, la condanna per tentato omicidio fosse di 12 anni e 6 mesi, tra sconti di pena e indulto, Paolo Chieco sta solo 4 mesi in carcere e 19 mesi ai domiciliari.

Così, per aver tentato di uccidere la sua ex convivente, Chieco è condannato a stare a casa, che però si trova a soli trecento metri dall'abitazione di lei. Dal 2008, quando torna in libertà, non bastano le numerose denunce fatte da Anna Rosa alla polizia, non basta il fatto che la donna sapesse che lui la spiava, e non è bastato nemmeno che una volta l'abbia portata in una stradina, minacciandola e mettendole una corda al collo, per farla difendere dalle istituzioni. Così, dopo tanti avvertimenti e segnali dell'ossessione che l'uomo aveva per l'ex compagna, Paolo Chieco percorre quei 300 metri che lo dividono dalla casa di lei e uccide Anna Rosa Fontana.

Si tratta di un problema e di un dramma che purtroppo non è nuovo per la giustizia italiana quando si parla di violenza di genere. Emerge chiaramente anche dalla relazione finale, presentata al Senato, della Commissione d'inchiesta sui femminicidi, presieduta da Francesca Puglisi. Vagliando i dati di procure e tribunali di tutta Italia, saltano agli occhi carenze di ogni tipo. A partire dal sistema informatico di monitoraggio, obsoleto: procure e tribunali non riescono a raccogliere e incrociare i dati in maniera efficace. C'è poi la mancanza di comunicazione tra Tribunale dei Minori, giustizia civile e penale. Quando, spesso, uno stesso caso procede da un lato come divorzio, dall'altro come violenza e da un altro ancora come affidamento di minore. Ci sono anche questioni normative da risolvere. Come il poco tempo a disposizione, 6 mesi, per denunciare una violenza. C'è molto da lavorare insomma, troppo spesso le violenze vengono ritenute “conflitti familiari”. Un dato lo racconta chiaramente: una denuncia su quattro per violenze di genere viene archiviata.

Guarda qui sotto il servizio di Nina

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