Bitcoin, produrli consuma più energia elettrica dell'Ohio. Cosa sono e a cosa servono
Secondo la stima di un ricercatore dell’università di Princeton, produrre bitcoin consuma più energia elettrica del fabbisogno di uno stato come l’Ohio. Con Matteo Viviani e alcuni esperti vi abbiamo raccontato cosa sono e a cosa servono
Produrre bitcoin consuma più energia elettrica di quella che consuma uno stato come l’Ohio. È quanto sostiene lo studio di Arvind Narayanan, ricercatore dell’università di Princeton. Per produrre questa criptovaluta si è arrivati all’1% circa del consumo mondiale di elettricità.
“Quello che davvero determina quanta energia usano i bitcoin è il loro prezzo”, spiega il ricercatore. “Se il prezzo della criptovaluta sale verrà usata più energia per il mining, se cala, si abbassa anche il consumo. Gli altri fattori contano poco”. Il “mining”, ovvero la produzione di bitcoin. Questa avviene attraverso l’elaborazione di complessi algoritmi per i quali vengono utilizzati computer collegati a schede video di ultima generazione.
Il fenomeno, secondo il ricercatore, potrebbe assumere dimensioni problematiche. Alcuni studiosi non condividono però la visione di Narayanan, sostenendo invece che il processo di produzione della moneta virtuale diventerà sempre più efficiente.
Ma cosa sono realmente i bitcoin e a cosa servono? Con Matteo Viviani abbiamo provato a rispondere a queste domande ascoltando il parare di esperti e imprenditori. “Il bitcoin è una criptovaluta digitale, non è stampata, ed è una moneta che viene scambiata all’interno di un sistema indipendentemente da istituti bancari”, ci ha spiegato Stefano Fratepietro, esperto di sicurezza informatica. “Il suo valore è determinato dal mercato: domanda e offerta”.
Dire che, ad esempio, un bitcoin oggi vale 10 mila euro significa che “c’è qualcuno in giro per il mondo che è disponibile a spendere 10 mila euro per un bitcoin”, spiega il professor Ferdinando Ametrano. “Il bitcoin assomiglia all’equivalente digitale dell’oro”. Infatti, proprio come l’oro esiste in quantità limitata, anche i bitcoin sono destinati ad avere un limite. “C’è un limite preimpostato a 21 milioni di bitcoin”, oltre il quale non si può andare. Ed è questo che, a differenza delle monete tradizionali che teoricamente potrebbero essere stampate all’infinito, garantirebbe al bitcoin un aumento del suo valore.
Ma per quale motivo sono stati creati i bitcoin? L’obiettivo era quello di avere una moneta “privata, non controllabile da governi, non controllabile da banche centrali”: nessuno, eccetto chi lo possiede, può gestirlo.
Ma proprio qui, secondo il docente di storia dell’economia Luca Fantacci, starebbe una delle falle del bitcoin. “È uno strumento di pagamento inaffidabile proprio per il suo valore variabile. Questo è un problema perché rende l’andamento degli affari completamente incerto. Nel caso delle valute normali, quando c’è una oscillazione del valore significa che c’è un problema, ad esempio l’inflazione. Ma ci sono degli intermediari – come, appunto, le banche - che stanno lì apposta per evitare che si creino queste situazioni. È vero che anche la moneta che utilizziamo si basa sul niente, però ha una autorità che le emette secondo dei criteri. Il criterio principe è proprio la stabilizzazione del potere d’acquisto di questa moneta, che è la caratteristica principale che una moneta deve avere”.
La quotazione del bitcoin oscilla continuamente. Oggi, ad esempio, è scesa a 6.000 euro.
La nostra Iena è andata a parlare direttamente con i commercianti, come parrucchieri, bar, alimentari, che già accettano pagamenti in bitcoin, per capire il perché di questa scelta.
Guarda qui sotto il servizio di Matteo Viviani “Cosa sono e come funzionano i bitcoin”.