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Elezioni in Colombia, destra avanti. Arrestato il sicario di Escobar: l'intervista

Primo voto dopo la pace con le Farc. Vanno al ballottaggio Ivan Duque (destra) e Gustavo Petro (sinistra). Venerdì è tornato in cella “Popeye” che, dopo 257 omicidi, minacciava Petro. Guardate l’intervista esclusiva de Le Iene

La Colombia è andata al voto ieri, domenica 27 maggio, con il primo turno di elezioni presidenziali particolarmente decisive per il futuro: il 17 giugno ci sarà un ballottaggio destra-sinistra che pone già il Paese di fronte a un bivio radicale. È in questo quadro che si colloca l’arresto venerdì 25 maggio di “Popeye”, Jhon Jairo Velásquez, il sicario prediletto di Pablo Escobar, per estorsione e associazione a delinquere. Noi de Le Iene, con Giulio Golia, lo abbiamo intervistato in esclusiva nel servizio del 7 novembre 2017 che vi riproponiamo qui in basso: uscito dal carcere, raccontava con modi comunque molto ambigui di voler vivere onestamente dopo 257 omicidi. Prima di tornare ora di nuovo in cella, minacciava il candidato della sinistra ed ex sindaco di Bogotà, Gustavo Petro, su Twitter: “Il mio fucile parlerà per me”.

Il voto di ieri e il prossimo del ballottaggio del 17 giugno sono fondamentali per il futuro della Colombia e per gli equilibri di tutto il Sudamerica. Si tratta anche di una sorta di referendum sull’accordo di pace con i guerriglieri di ispirazione marxista delle Farc, siglato dal presidente in carica Juan Manuel Santos, premio Nobel per la Pace 2016, l’anno della firma di un trattato che ha posto fine a una guerra feroce, durata 50 anni e costata 220mila morti. Dopo i due mandati di Santos, i candidati per sostituirlo, che si confronteranno al ballottaggio, sono Ivan Duque, di destra, contrario all’accordo e seguace dell’ex presidente Álvaro Uribe, che ha raccolto quasi il 40% dei consensi, e appunto Gustavo Petro, di una sinistra radicale di ispirazione chavista, favorevole alla pace con le Farc (seppure con qualche critica) e finito nel mirino anche di Popeye, che ha avuto il 25% dei voti.

Il sicario di Escobar, del resto, arrestato nel 1992, ha scontato 24 anni di carcere per un solo omicidio, sempre di un politico: Luis Carlos Galán, nemico dichiarato dei cartelli della droga, che Popeye ha ucciso nel 1989 a Bogotà durante un comizio davanti a 10 mila persone. È l’unica sua vittima per cui prova un qualche rimorso. Tornato libero nel 2014 per buona condotta, Jhon Jairo Velásquez dichiarava di vivere onestamente, con una vena creativa: 500 mila fan su YouTube come “Popeye pentito”, si è improvvisato scrittore, ha girato un film autobiografico e ha venduto i diritti per una serie sulla sua vita a Netflix.
 


“Io sono il Generale della Mafia”, esordisce Popeye, 56 anni, nell’intervista esclusiva di Giulio Golia, come recita a la scritta che mostra con orgoglio nella prima foto in alto, uno dei suoi molti tatuaggi. “Io sono la memoria storica del cartello di Medellín: ho vissuto dentro il mostro e facevo parte del mostro”. Il mostro è l’organizzazione mafiosa del più grande trafficante di droga del mondo, Pablo Escobar, ucciso nel 1993 a 44 anni. Aveva accumulato un patrimonio di 25 miliardi di dollari.

Popeye era l’uomo di scorta e il sicario preferito di Escobar (sopra li potete vedere assieme in una foto). “Per lui ho ho ucciso 257 persone con le mie mani” ammette e racconta di aver preso parte alla guerra contro il cartello rivale di Calì e il governo costata 50 mila morti tra omicidi singoli e plurimi e stragi con autobombe. “Medellín è una bellissima città, costruita però su un cimitero”, dice. Su di lui pendeva una taglia da mezzo milione di dollari, al momento dell’arresto aveva un patrimonio di “12 milioni in immobili e 10 milioni in contanti”. C’era un tariffario per gli omicidi: “C’erano morti da un milione, da 70 mila, da 50 mila e da 20 mila dollari e Escobar pagava sempre correttamente”

“Dei suoi 3 mila sicari, siamo rimasti vivi solo in 4”. Popeye era l’unico fuori di prigione fino a venerdì 25 maggio: “Per noi Pablo Escobar era Dio: non avevamo paura, ci piaceva l’adrenalina, ci piaceva la violenza, eravamo giovani”. In un’intervista difficile e da brividi il sicario si lancia anche in lodi inquietanti a Cosa Nostra: “La vera mafia è italiana, noi siamo la copia, loro sono i professori. Ammiro l’omertà, la capacità di comunicare sempre per scritto mai per telefono, l’eleganza nell’uccidere, senza sentimenti, da professionisti. Viva la mafia!”.

Il “Popeye pentito” di Youtube, che dice di “vivere onestamente e modestamente, in un appartamento modesto”, del resto non sembra affatto pentito del suo passato. Si esibisce con una Beretta finta con tanto di maschera e ricorda la venerazione per Escobar. Per proteggerlo è stato ferito molte volte. Mostra le ferite, ricorda le orge con “15 ragazze per 15 mafiosi”, il lusso estremo delle ville (compresa La Cattedrale, gigantesca, che il boss si costruì come carcere in un accordo paradossale con il governo colombiano), il tango come filosofia di vita: “Mi manca, lo sogno ancora. Quando in carcere ho saputo dalla tv che era stato ucciso in un blitz, la mia anima è rimasta congelata, come se avessero ucciso mia madre mille volte”. Per lui ha ammazzato anche la sua donna: “Mi usava per tradirlo con l’Antidroga americana. Lui mi ha chiesto di farla fuori e l’ho fatto: nella vita puoi essere leale a una sola persona”.
 


Durante tutta l’intervista non distoglie mai da Giulio Golia questi occhi lucidi e freddi. “Un assassino sarà sempre un assassino, io potrei uccidere in qualsiasi momento”, ha detto all’inizio. Conclude dicendo di voler rigare dritto, ma non esclude nulla.  

Io sono una leggenda. Sto cercando di andare avanti onestamente. È un gran tesoro poter andare a un supermercato, bersi una birra fredda, camminare per strada: non ha prezzo. Però il fucile è una buona opzione e se ci fosse un uomo interessante, credo che potrei pensarci”.

La conclusione è inquietante, come l’esordio, come tutta l’intervista. Il suo arresto di venerdì non è una sorpresa.

Guardate qui in basso l'intero servizio di Giulio Giolia del 7 novembre 2017.
 

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