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Quote latte, come la politica ha mandato in malora un intero settore

Matteo Viviani cerca di fare chiarezza su una delle storie più assurde del nostro Paese

Matteo Viviani fa luce sulla questione delle quote latte. Nel 1983 In Italia c’erano 400.000 allevamenti, oggi 36.000. Una riduzione drastica della produzione, causata anche dal regime delle quote latte. Nel 1984 l’Europa fissa i limiti di produzione di latte per ogni Paese. L’Italia presenta il livello di produzione del 1983, ma l’ultimo dato ufficiale a disposizione risale in realtà al 1939, così il numero è approssimativo. E gli allevatori si ritrovano di colpo a dover produrre al livello di dieci anni prima, che per alcuni significa dimezzare la produzione. Per chi aveva sostenuto degli investimenti importanti nel proprio allevamento, e non era ancora rientrato dei costi, significa andare incontro al fallimento certo.

Così gran parte degli allevatori si ritrova a sforare il tetto massimo. Anche perché la quota limite di produzione del latte per l’Italia era di 110 milioni di quintali, mentre il fabbisogno nazionale di 200 milioni. Molti allevatori fanno ricorso, mentre lo stato paga le multe alla Comunità europea. Ma quando l’Europa apre una procedura di infrazione contro l’italia, il governo chiede agli allevatori di pagare le multe. A Federico, l’allevatore intervistato da Viviani, viene comminata una sanzione da due milioni e mezzo di euro. E come lui tanti altri si ritrovano a dover pagare multe milionarie.

Gli allevatori cominciano a chiedere quale sia la reale produzione di latte, e si scopre che risultano più stalle di quante ce ne siano in realtà. Questo perché l’Agea, l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura, basa i suoi dati sulle autocertificazioni, e non su un censimento tecnico. Significa che gli allevatori devono compilare un modulo in cui scrivono a penna il numero di capi presenti nell’allevamento. Ma prima di arrivare all’Agea, il modulo passa dall’allevatore al caseificio o alla cooperativa a cui consegna il latte. I dati sono quindi facilmente manipolabili dal caseificio, che per esempio può aggiungere uno zero al numero dei capi. Una mossa utile per quei produttori che fanno latte italiano ma che in realtà lo mischiano a quello comprato dall’estero, a prezzo più basso.

Marco Mantile, vice comandante del Comando carabinieri politiche agricole e alimentari, ha svolto una delle più importanti indagini sulle quote latte. Dopo quattro mesi di lavoro ha scoperto che il numero di capi censiti non giustificava il superamento della quota assegnata dall’Unione europea all’Italia. Quindi le multe comminate, dal suo punto di vista, non erano corrette.

Per far quadrare i conti, Agea avrebbe modificato i dati dell’algoritmo del tetto massimo di 120 mesi di vita delle vacche, che equivalgono a dieci anni. E lo porta a 999 mesi, cioè 83 anni. Un tempo di vita impossibile per una vacca, ma utile per far sballare il numero reale di vacche presenti. Tradotto da un allevatore intervista da Matteo Viviani: “Abbiamo raccontato balle fin dall’inizio, e per giustificarle abbiamo raccontato una balla ancora più grossa”.

Mantile consegna la sua scoperta alle procure interessate, ma alcune archiviano subito. Tuttavia anche la Guardia di finanza e i Carabinieri giungono alla stessa conclusione di Mantile. Che viene contattato da Giuseppe Ambrosio, il capo di gabinetto dell’allora ministro delle Politiche agricole Galan. E Marco Mantile si presenta con il registratore. Il capo di gabinetto, che specifica che “parla a nome del ministro”, esordisce così: “Le quote latte hanno assunto un significato politico”. L’indagine portata avanti da Mantile “politicamente non la possiamo sostenere, perché verremmo meno a un impegno politico che abbiamo preso con la Commissione europea. Se diciamo che abbiamo verificato e i dati sono sbagliati cade tutto il castello dei cinque anni di anticipo delle quote che abbiamo avuto . C’è stato un errore a monte, perché dovevate rifiutarvi di fare la indagine”. E conclude: “qualcosa di anomalo c’è ed ha ragione lei, mio caro Marco Mantile”.

Mantile capisce che “qualcosa di grosso era stato toccato”. Viene richiesto per lui il distacco in un’altra amministrazione, e accetta: “Ho ritenuto opportuno cambiare aria”. Di quanto ha denunciato Mantile, comunque, non se ne è fatto nulla. Luigi Gaetti, ex senatore dei Cinque stelle, da parlamentare ha avviato un’indagine e ha scoperto che “delle 33.400 stalle, più di 1300 risultano chiusi, altri sono aperti ma non hanno dentro le vacche, altri ancora hanno falsificato il numero dei parti degli animali”. Durante una discussione in Parlamento nel 2015 ha posto queste domande al ministro per le Politiche agricole Martina, oggi anche segretario reggente del Partito democratico, che Matteo Viviani risponde così: “se ci sono rilievi di questo tipo meglio andare dalla magistratura e non al ministero”. Mentre sulle scoperte fatte da Marco Mantile dice: “la magistratura ha detto che quello che sosteneva questo signore era falso”.

Purtroppo diversi allevatori si sono anche tolti la vita a seguito delle multe comminate per le quote latte. Anche per questo è urgente fare chiarezza su come siano andati i fatti e individuare i responsabili.

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