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Morte di Magherini: “I carabinieri non potevano prevederla”. Clicca qui per cercare la verità

La Cassazione spiega perché ha assolto i tre carabinieri che fermarono e picchiarono nel 2014 Riccardo Magherini, che morì poco dopo. Ecco cosa è successo e come si può aiutare la famiglia nel ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo

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La morte di Riccardo Magherini, nel 2014 per infarto subito dopo che tre carabinieri lo hanno picchiato a calci e pugni durante un fermo (come potete vedere nel video qui sopra, girato da un cittadino di Firenze dalla finestra), non era «prevedibile perché le forze dell'ordine non avevano le competenze specifiche in materia».

La Cassazione spiega così l’assoluzione di due settimane fa, che ha scatenato molte polemiche, dei tre carabinieri Vincenzo Corni, Stefano Castellano e Agostino della Porta, che erano stati condannati a 8 mesi il primo e a 7 mesi gli altri due in primo e secondo grado a Firenze.

Secondo la Cassazione i militari per evitare quella morte “avrebbero dovuto prospettarsi e prevedere in concreto un quadro di conseguenze dannose per l'organismo umano che solo il sapere scientifico entrato nel processo attraverso approfondite perizie mediche ha poi reso note». Ma la "previsione non era esigibile” da loro.

Con tutto il rispetto per le sentenze, anche dopo questa spiegazione la dinamica che ha portato a questa tragedia non ci sembra normale (noi de Le Iene di siamo già occupati in passato del caso con due servizi che vi riproponiamo in fondo all’articolo).

La famiglia di Magherini per prima non ci sta e vuole portare il caso davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo.  “Noi non ci stiamo”, dice il fratello Andrea in un video che vi ha inviato (clicca qui per vederlo). “A costo di vendere tutto, porteremo il caso di Riccardo alla Corte europea per i diritti dell’uomo: Riccardo non può essere ucciso due volte”.

Non è giusto che la famiglia di Riccardo debba sostenere da sola questo carico di spese: è una battaglia di tutti. È partita una raccolta fondi per chiedere la verità sulla morte di Magherini e aiutare questo ricorso. Sono già stati raccolti oltre 4.500 euro, l’obiettivo è arrivare a 20mila per aiutare la famiglia di Riccardo. Chiunque voglia partecipare può farlo andando su gofundme.com/magherini.

Riccardo Magherini, che si trovava in uno stato di delirio e aveva assunto cocaina è stato fermato, è stato bloccato a terra, è stato picchiato e preso a calci dai tre militari mentre gridava “aiuto” e “sto per morire” in mezzo alla strada, in Borgo San Frediano a Firenze, il 3 marzo 2014. Poco dopo è morto di infarto. Aveva 40 anni, una moglie e due figli. Filmati e 29 testimonianze hanno confermato lo stato di costrizione dell’uomo, che chiedeva aiuto, con il peso addosso dei militari, che lo prendevano a calci e pugni.

Noi de Le Iene abbiamo approfondito questa storia e i suoi molti punti oscuri in due servizi di Mauro Casciari del 3 ottobre 2014 e del 29 gennaio 2015. Nel primo servizio si parte dal video girato da un cittadino di Firenze dalla finestra che vedete qui sopra: perché un uomo di 40 anni in preda al panico muore durante il fermo dopo che ha incontrato i carabinieri che dovevano aiutarlo? 

Alle 5 di mattina la moglie di Magherini, Angel, chiama il padre Guido dicendo che sono venuti i carabinieri a dirgli che Riccardo è morto. “Aveva fatto il pazzo, è morto d’infarto”, dicono a Guido. La prima versione è “infarto causato da abuso di droga”, ma dura poco.

“Riccardo ha avuto una grande crisi di panico e ha vagato chiedendo aiuto, anche alle forze dell’ordine”, dice il fratello Andrea. All’ospedale, come testimoniano le foto, arriva ricoperto di ferite ed ematomi sul volto e su tutto il corpo. “Se li è fatti da solo? Noi non ci stiamo”, dice il padre.
 
Con il fratello Andrea ricostruiamo quello che è successo quella notte: Riccardo va a trovare degli amici che alloggiano all’hotel St. Regis, in centro. “Non sta bene, ha la febbre e ha preso due tachipirine, qui al bar, nella serata beve tre cognac, verso mezzanotte e mezzo esce. Forse perché non si sente bene, non prende l’auto e cerca un taxi e va verso o il posteggio dei tassisti più vicino”.

Parliamo con il tassista che lo carica per portarlo a casa: “Lo vedo avvicinarsi, quasi correndo, era molto agitato. Mi ha chiesto di prendere un’altra strada, poi ha iniziato a braccarmi per farmi fermare: ‘Allora sei d’accordo con loro, sei di loro’. È scappato dal taxi perdendo il portafogli e il cellulare. Gridava 'Aiuto!' e correva andando verso il Consolato americano”.

Sono proprio le guardie del Consolato a chiamare i carabinieri. Un testimone lo vede sul Ponte Vespucci in compagnia di qualcuno: si stavano strattonando, emergerà poi. Dopo quest’incontro inizierà a urlare che lo vogliono ammazzare. Si dirige, continuando a gridare “aiuto!” verso via Borgo San Frediano.

Le telefonate ai carabinieri che segnalano una persona bisognosa di aiuto si moltiplicano. È proprio in via Borgo San Frediano, nel suo quartiere, che si consumano gli ultimi tragici minuti di vita di Riccardo Magherini.

Arrivano due pattuglie con 4 carabinieri. I testimoni raccontano che Riccardo si mette in ginocchio e dice: “Per favore, aiutatemi”. I militari gli saltano addosso, lo fermano e tirano calci. “Sto morendo!”, urla tre volte. Sono probabilmente le sue ultime parole. La versione dei carabinieri? “Mentre venivano raccolte informazioni, il soggetto andava in arresto cardiocircolatorio”.

Il secondo servizio parte da un video di Riccardo riprese dalle telecamere interne di un ristorante del centro di Firenze: è tranquillo e gioviale, cinque ore dopo morirà, sono le ultime sue immagini da vivo.

Matteo Torretti, uno dei 29 testimoni sulla scena della morte di Riccardo, quello che nel video dice “I calci no!”, conferma di aver visto dare 7/8 calci a Magherini: “5-6 all’addome e due in faccia”. Probabilmente, quando arriva l’ambulanza, l’uomo di 40 anni è già morto, anche se per i carabinieri è ancora “pericoloso e aggressivo” e va tenuto ammanettato.

Il servizio si concentra su un buco di 25 minuti, che non viene spiegato nemmeno dalla Procura, quando Riccardo esce dall'hotel St. Regis, tra mezzanotte e venti e mezzanotte e 45. Ne abbiamo parlato con Matteo Calì de IlSitodiFirenze.it, che ha studiato approfonditamente il caso.

Riccardo in quel periodo, secondo una prima testimonianza della Direttrice del locale, è passato dal Caffè Curtatone. Subito dopo inizia il suo stato di agitazione estrema con la fuga gridando: “Aiuto, mi vogliono ammazzare!”. Cosa è successo nel caffè? Le versioni su chi era presente di direttrice e proprietaria del Caffè cambiano spesso.

Riccardo presumibilmente in quel bar litiga con qualcuno e si agita talmente tanto da fuggire di corsa gridando e chiedendo aiuto perché secondo lui lo vogliono ammazzare. Qui finisce il buco di 25 minuti ancora da spiegare. Magherini tenta di salire su una macchina dove ci sono 5 ragazzi: “Ci ha detto che qualcuno lo stava inseguendo e stava cercando di sparargli. Non era aggressivo o pericoloso, era impaurito. Sembrava che avesse una collana, tipo medaglietta militare, un ciondolo”. Anche un suo amico da cui si rifugia per poco durante la fuga conferma che l’aveva al collo. All’ospedale e tra i suoi effetti personali però non compare.

Domandi alla famiglia se c’entra qualcosa qualche ciondolo. Domandi! Questa cosa, un ciondolo! Poi le spiegherò perché”, aveva detto con tono di sfida al giornalista Matteo Calì la proprietaria del Caffè Curtatone quando era ancora “collaborativa”. Che ci sia una donna contesa? Tra le frasi di Magherini mentre viene fermato e picchiatodai carabinieri, c’è anche, riportata dai miliari stessi: “Gli ha scopato la moglie”.

Resta molto da chiarire sulla sua fuga, sulla sua paura e soprattutto sulle modalità della sua morte. Anche perché nessun video delle telecamere di una delle aree più video sorvegliate del mondo è stato consegnato alla procura. Intanto per la Cassazione le modalità di quel fermo che ha portato alla morte di Riccardo Magherini non sono da condannare “perché i carabinieri non potevano prevederla”.

Anche noi speriamo, come la famiglia, che la Corte di Strasburgo farà chiarezza.

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Guarda qui sotto i due servizi di Mauro Casciari.

 

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