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Costretta per 13 anni a non lavorare: i giudici danno ragione a Rosetta

La donna, che Roberta Rei aveva incontrato nel 2017, era stata demansionata e mobbizzata per aver detto no a un premio di 20mila euro per il direttore generale dell’ente pubblico in cui lavorava

Rosetta Fierro ha vinto. Per il tribunale di Salerno è stata demansionata e ora deve essere reintegrata nel ruolo. E le spetta pure un risarcimento, anche se di appena 5000 euro.

Finalmente una bella notizia in una vicenda del tutto negativa e assurda, quella che la iena Roberta Rei vi aveva raccontato nella puntata del 19 febbraio 2017.

Era la storia di Rosetta, impiegata modello che si occupava di gestire i conti dell’ente “comunità montana Gelbison”, in Campania. La donna in breve tempo si era ritrovata a essere oggetto di pesante mobbing, fino a essere costretta ad andare a lavoro ma senza poter lavorare.

La sua colpa? La trasparenza, cioè aver chiesto spiegazioni su un premio di 20mila euro che era stato destinato al suo direttore generale. Una cifra che le era sembrata eccessiva, per le esigue casse di quell’ente, che tra l’altro era da tempo a rischio pagamento stipendi. E Rosetta, nell’ente, era quella che il marito Raffaele definisce “il ministro del bilancio e delle finanze”. Come dire (per chi l’ha poi mobbizzata), la persona sbagliata nel posto sbagliato.

La sua richiesta di chiarimenti su quel premio, e i suoi dubbi sulla convenienza per i conti dell’ente, non le avevano portato nulla di buono.  Quel premio il direttore l’aveva comunque incassato mentre Rosetta era stata spostata in una stanzetta spoglia e solitaria, a trascorrere la sua giornata lavorativa. Nessun computer su cui scrivere, nessun incarico da svolgere. Una stanza in cui l’unica cosa che poteva fare era piangere. E questo per 13 lunghissimi anni!

“Sono invisibile, come se non fossi dipendente di quell’ente – aveva raccontato sfiduciata Rosetta a Roberta Rei -. Non faccio nulla, zero proprio!”

Al danno si era aggiunta la beffa: nella causa intentata da Rosetta, quello  stesso direttore generale (che era un avvocato) si era difeso da solo, e dunque si era pagato con i soldi della Comunità un onorario di oltre 8mila euro. E i giudici, all’epoca, non avevano dato per nulla ragione a Rosetta, negando il demansionamento e il mobbing.

Ma ora questa nuova sentenza restituisce finalmente alla donna un po' di speranza. E, ci auguriamo noi de Le Iene, anche il diritto a lavorare con dignità e a non essere obbligata a sprecare risorse pubbliche.

Guarda qui sotto il servizio di Roberta Rei, che racconta l’assurda vicenda di Rosetta.

 

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