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Parà Scieri, tre accusati di omicidio dopo 19 anni: s'indaga sul nonnismo

La morte, nel 1999 a 26 anni, di Emanuele Scieri, recluta fresca di arruolamento dei paracadutisti della Folgore, sarebbe stata un omicidio. Lo sostiene la procura di Pisa che ha indagato tre commilitoni dopo 19 anni e ne ha arrestato uno, temendo che stesse per fuggire negli Stati Uniti

Emanuele Scieri sarebbe stato ucciso nel 1999, a 26 anni: tre ex commilitoni paracadutisti sono accusati ora di omicidio volontario. La svolta nell’inchiesta arriva 19 anni fa dopo la morte del parà, trovato senza vita il 16 agosto del 1999 nella caserma Gamerra della Folgore a Pisa. Uno dei tre indagati, l’ex caporale Alessandro Panella, è stato arrestato: secondo la Procura di Pisa era pronto a fuggire negli Stati Uniti.

“Emanuele morì da solo, nel buio di una calda notte di metà agosto, tra rottami e polvere, dopo una agonia durante la quale poteva essere salvato”. È quanto già sostenuto nella relazione della commissione parlamentare di inchiesta che ha indagato sulla morte del militare.

È il 13 agosto 1999. È passata una settimana dal giuramento di Emanuele, 27 anni: un momento di festa e orgoglio a cui hanno partecipato anche i suoi genitori e il fratello Francesco.

Emanuele va con i suoi commilitoni alla mensa per consumare il pranzo. Poi raggiunge il magazzino del casermaggio, dove riceve lenzuola e coperte per la branda. Più tardi attorno alle 18 cena e subito dopo esce in libera uscita con alcuni parà. Visitano i luoghi principali del centro storico della città di Pisa. Attorno alle 20 fa due chiamate: la prima alla mamma e la seconda al fratello. Nulla fa presagire che quelle sarebbero state le ultime telefonate con Emanuele. 

Due ore più tardi rientra in caserma. E su quello che accade in questi momenti, a 19 anni di distanza, ci sono ancora tanti interrogativi. Si attarda a fumare una sigaretta lungo il viale che costeggia il muro perimetrale della caserma, vicino alla torre di asciugatura dei paracadute. Secondo il racconto del parà che è con lui, terminata la sigaretta, Emanuele non rientra in camerata. Rimane nel cortile dove si trovava la torre di prosciugamento e il magazzino del casermaggio, un posto poco illuminato, per effettuare in tranquillità una telefonata. Di Emanuele per oltre 72 ore non si avranno più notizie. Nessuno però si allarma.

Sono le 14 di lunedì 16 agosto, Emanuele viene ritrovato morto. A scorgere il suo corpo senza vita sono quattro compagni. Hanno sentito il cattivo odore del cadavere in avanzato stato di decomposizione e hanno visto un piede destro che spuntava sul piano di un tavolo. “Il corpo era riverso in mezzo a tavoli in disuso e altri oggetti di magazzinaggio, accatastati alla rinfusa ai piedi della scala”, si legge nella relazione parlamentare. “Il corpo era gonfio, insanguinato, con una gamba su un tavolino e il marsupio sulla pancia”.

La Procura di Pisa e la Procura militare di La Spezia avviano le indagini, che arrivano a due ipotesi

La prima: “Emanuele si sarebbe arrampicato spontaneamente sulla scala della torre di asciugatura dei paracadute, nell’area di discarica che nei fatti era il cortile del magazzino di casermaggio, per mettere alla prova le proprie capacità”.

La seconda invece apre nuovi scenari. Secondo questa ricostruzione “Emanuele è stato costretto da alcuni soggetti ad arrampicarsi sulla scala della torretta di prosciugamento dei paracadute dalla parte esterna, quindi fuori dagli anelli di protezione, avvalendosi della sola forza delle braccia, mentre uno o più ignoti, arrampicandosi dalla parte interna e protetta, gli schiacciavano brutalmente le mani in modo da fargli perdere la presa”. 

Poi, in entrambi i casi, sarebbe precipitato al suolo, morendo dopo diverse ore di agonia.

A smontare la prima ipotesi è soprattutto la personalità di Emanuele: una persona ragionevole e quasi reverente verso le regole militari che, quindi, non avrebbe scalato di propria iniziativa quella struttura di sera, al buio e da solo. Una struttura alla cui base “vi era una massa di materiale in disuso che non consentiva di raggiungere agevolmente i piedi della torretta”, posizionata in un “posto buio e non conosciuto da Scieri”, come riporta la relazione. Dall’autopsia è emersa anche “una ferita al dorso del piede sinistro e una ferita al polpaccio sinistro incompatibili con la caduta”. Al momento della tragedia poi, seguendo la seconda ipotesi, sarebbero state “presenti altre persone, e queste si erano adoperate attivamente per occultare il corpo, ancora in vita, celandolo tra tavoli dismessi”.

Il sospetto è che dietro la morte di Emanuele ci sia un episodio di “nonnismo” verso una recluta fresca di arruolamento. È stato accertato che, nove mesi prima della sua morte, il generale Enrico Celentano, comandante della Brigata Folgore, inviò un plico di 120 pagine intitolato “Zibaldone”. Una raccolta di scritti, riflessioni, vignette, battutacce sessiste, antimeridionali e contro i politici.

Conteneva anche un elenco di atti di nonnismo, tra i quali "la comunione", ovvero far ingurgitare al malcapitato una mistura di escrementi umani. Lo stesso generale ha dichiarato alla Commissione che all’epoca “gli atti di nonnismo erano all’ordine del giorno”. Pugni al costato, imposizione coattiva di esercizi fisici, ma anche la succitata “comunione”, erano solo alcune dei riti di iniziazione all’ambiente militare.

Dopo 19 anni è arrivata la svolta nell’indagine. Tre persone sono accusate di concorso in omicidio. In tutti questi anni la famiglia Sceri ha chiesto giustizia e verità. Questo passo avanti sembra portare in quella direzione. "Sono incredulo, è stata un'emozione fortissima...",  è stata la prima reazione di Francesco, il fratello di Emanuele.   

Proprio partendo dal caso Scieri avevamo parlato di nonnismo con il servizio Enrico Lucci che potete vedere qui sotto. 

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