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Amazzonia, un capo tribù per il Nobel per la Pace? | VIDEO

Un’associazione brasiliana candida l’icona ambientalista Raoni Metkutire, capo dei Kayapó, tribù indigena che vive nella Foresta amazzonica, per il premio Nobel per la Pace 2020. Con Matteo Viviani siamo penetrati tra le tribù che vivono nella foresta, devastata ora dagli incendi

Il nome di Raoni Metkutire, capo dei Kayapó, tribù indigena che vive nella Foresta amazzonica brasiliana, è stato proposto per il Premio Nobel per la Pace del 2020.

Raoni, diventato un’icona ambientalista, ha combattuto tutta la vita per proteggere la foresta dove vive con la sua tribù. Quella foresta che è un polmone d’ossigeno e di verde fondamentale per tutto il Pianeta e che quest’estate è stata devastata dagli incendi dolosi anche per colpa delle politiche del nuovo presidente di estrema destra del Brasile Jair Bolsonaro.

A fare il nome di Raoni per il Nobel è la fondazione Darcy Ribeiro Foundation. Il portavoce, Toni Lotar, ha fatto sapere che la candidatura è stata accolta per essere analizzata dal comitato norvegese per i premi.

“Il capo tribù Raoni è il simbolo di una vita dedicata alla battaglia per la sopravvivenza della natura e delle popolazioni indigene dell’Amazzonia”, ha detto Lotar a Reuters.

Con Matteo Viviani siamo andati nel 2008, nel servizio che vedete qui sotto, nella parte ecuadoriana dell’Amazzonia per raccontare il dramma delle popolazioni indigene. Qui vivono nell’incubo dell’arrivo dell’industria del petrolio mentre in Brasile la deforestazione viene forzata dagli allevamenti dei bovini. Siamo riusciti a raggiungere il cuore della foresta impenetrabile, dove vive la tribù indigena dei Waorani.

“Viviamo al di fuori della civilizzazione”, ha detto a Matteo Viviani il capo tribù, raccontando il dramma di vedersi strappare le proprie terre e le proprie risorse per qualcosa che nemmeno si conosce, come il petrolio. “Viviamo in una zona intangibile all’interno del parco nazionale. I miei padri erano guerrieri e già difendevano questa foresta. Noi Waorani abbiamo vissuto qui liberamente, eravamo felici. Ma la realtà è che adesso per la civilizzazione abbiamo visto cambiare il nostro territorio”.

“I Waorani hanno creduto che la loro vita sarebbe migliorata”, ci ha spiegato il capo tribù. “Invece ci hanno portato malattie: bronchiti, polmoniti e poliomelite. Sono morti molti guerrieri. Il territorio si è indebolito. Questa è la civilizzazione. Quando sono arrivati i petrolieri ci hanno detto di non ucciderli, perché non ci avrebbero fatto del male. Ma poi si sono impadroniti del territorio per estrarre il petrolio. Prima i Waorani non sapevano cosa fosse il petrolio. Adesso le compagnie petrolifere stanno gettando gli scarti nel fiume. Dicono che l’acqua è buona, ma non è vero, è contaminata”.

E la civilizzazione non ha portato solo la contaminazione della loro foresta, ma un mondo completamente diverso da quello in cui vivono i Waorani: “I lavoratori delle compagnie petrolifere vengono qua a ubriacarsi, indossano vestiti belli, vivono in case di lusso. Adesso anche la nostra gente vuole le cose occidentali. Ma per noi sarebbe meglio ritornare a vivere come abbiamo sempre fatto. Vivere liberi, cacciare, pescare e non pensare a un altro mondo”.

Il capo tribù conclude con un appello, che vale ancora oggi, soprattutto di fronte agli incendi che hanno devastato l’Amazzonia in Brasile. “Vogliamo che il governo dell’Ecuador rispetti il nostro diritto a vivere. E che ci dia un aiuto economico per difendere questo territorio. Senza foresta, senza bosco, senza fiume, noi scompariremo. La foresta è come una madre, se fai del male a una madre i figli non possono vivere senza”. 

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