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Bambini e dipendenze: videogiochi, tablet e smartphone fanno male? | VIDEO

Videogiochi, smartphone o tablet in mano ai bambini provocano le diffidenze di molti. Matteo Viviani ha sentito il parere dei più esperti per capire se ci sono (solo) aspetti negativi

Bambini che usano videogiochi, tablet e smartphone. Molti provano diffidenza come se l’uso di questi oggetti fosse potenzialmente pericoloso. “Forse è stato un errore andare in questa direzione, ma penso che sia troppo tardi per tornare indietro”, dice Jordan Shapiro, esperto in competenze digitali nell’infanzia. “I genitori devono smettere di vedere i videogame e gli smartphone come qualcosa di pericoloso”.  

Secondo Shapiro siamo noi a non essere al passo con i tempi. In futuro i tablet prenderanno il posto delle bambole di una volta e  i videogame addirittura quello delle favole della buonanotte: “Sono assolutamente retorici, persuasivi e provocano emozioni: diventeranno le nuove favole”.

“Io ho due figli, dai loro 4 anni hanno iniziato a giocare ai videogame. Non c’è nulla di preoccuparsi”, dice Shapiro. Lo stesso discorso lo fa anche per i social: “Negli Stati Uniti i bambini hanno uno smartphone già a 10 anni, in un’età vicina alla pubertà in cui hanno crisi aggressive. Io preferisco portarli in quel mondo già a 7 anni”. Shapiro però non lascerebbe il suo telefono in mano ai figli. “Nel mondo reale servono anni per insegnare il giusto comportamento a un bambino. Lo stesso vale anche per quello digitale. Non bisogna considerarlo una droga perché non è tossico”. Per l’esperto, quando i giovani si uniscono in comunità online traggono un reale beneficio.

Di altro avviso è Giuliana Guadagnini: “Se il bambino si concentra sul gioco non pensa alla realtà perché si costruisce ambienti mentali completamente virtuali. Causano aggressività nei bambini perché vanno per la maggiore giochi sparatutto, dove la violenza è la normalità. Anzi, va anche festeggiata quando si uccide il nemico”.

Un altro aspetto di questi videogiochi è la dipendenza che creano. Tanto che l’Organizzazione mondiale della Sanità ha inserito la dipendenza da gioco digitale tra le patologie ufficialmente riconosciute. “Io giocavo a Call of Duty, un gioco sparatutto”, racconta Daniele che dai 13 ai 16 anni è caduto in questa dipendenza. “Stavo 14 ore davanti allo schermo, a volte sono arrivato anche a 24. Poi ho conosciuto una ragazza che mi ha aiutato a uscire da questo mondo”.

La dipendenza però non va confusa con la passione sfrenata che invece è l’iper connessione: “Da me arrivano ragazzi tra i 10 e i 24 anni che hanno perso il contatto con il mondo. Per ritrovarlo non parliamo mai di ore di connessione, ma di paure e angosce che allontanano dal mondo reale. A soffrirne sono soprattutto i ragazzi per loro è il corrispettivo dell’anoressia nelle femmine”, dice lo psichiatra Federico Tonioni. “I problemi arrivano quando il tablet sostituisce il genitore perché si rivelano baby sitter formidabili”. 

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