Bullismo, rompe un dente all'aguzzino. Cassazione: “Reazione legittima”
Per la corte è comprensibile che Francesco, un adolescente che ha reagito contro il proprio aguzzino, sia diventato aggressivo: nessuno l’ha aiutato. “Ma non è un via libera alla violenza”, dice Matteo Lancini a Iene.it. Con Nina Palmieri vi abbiamo raccontato il dramma simile di Andrea
È stato bullizzato per anni, sottoposto a ogni tipo di angheria. Un giorno reagisce, colpisce il suo aguzzino con un pugno e viene condannato a risarcirlo. Ma la Cassazione ribalta la sentenza: nessuno lo ha aiutato, la vittima è rimasta sola e in quel contesto è normale che abbia reagito con violenza rompendo il dente al suo bullo.
La storia risale a dieci anni fa. Gianmarco e Francesco sono compagni di scuola, ma il primo inizia a bullizzare l’altro con vessazioni continue. Nessuno interviene per fermarle. Qualche tempo dopo Francesco si difende e sferra un pugno a Gianmarco e gli rompe un dente.
Inizia un lungo processo e nel 2017 i genitori di Francesco vengono condannati a risarcire 18mila euro a Gianmarco per quel pugno. Per la corte d’Appello "essendo il comportamento offensivo e persecutorio della vittima collocato in una fase temporale diversa da quella della reazione di Francesco, quest'ultimo non aveva agito per legittima difesa, ma per aggredire fisicamente il proprio rivale".
La Cassazione ieri ha cambiato il verdetto: niente risarcimento per Gianmarco. Per la corte nessuno, nemmeno la scuola, è intervenuto per aiutare Francesco a difendersi dal suo bullo e quindi è comprensibile che il ragazzo abbia colpito il suo aguzzino. Per la Cassazione, insomma, non si poteva pretendere che Francesco avesse una reazione più controllata, vista la sua età e le “condizioni di umiliazione” subite.
“È importante che la Cassazione abbia analizzato il caso concreto e preso una decisione basata su quanto accaduto tra questi due adolescenti”, dice a Iene.it Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta presidente della Fondazione Minotauro. “In un contesto in cui i genitori e la scuola non riescono ad intervenire, in cui addirittura si cerca un risarcimento economico, è giusto che la corte abbia protetto la vittima di bullismo”.
Non bisogna però pensare che la sentenza sia un via libera alla violenza come unica reazione nei confronti dei bulli. “Sarebbe una lettura superficiale”, dice Lancini. “In realtà è una risposta a un caso specifico: in questo contesto era l’intervento giusto, ma non necessariamente si potrebbe applicare in una dinamica differente”. No alla violenza dunque, ma agire con altri mezzi: “È sempre necessario l’intervento delle famiglie e delle istituzioni a protezione della vittima, analizzando la situazione e cercando la migliore soluzione possibile. Poi bisogna cercare di aiutare anche il bullo: spesso a quest’ultimo servono punizioni educative, che lo aiutino ad analizzare le fragilità che lo portano a comportarsi così”.
Una realtà, quella del bullismo tra gli adolescenti, che abbiamo raccontato con Nina Palmieri e una storia simbolo di queste dinamiche, nel servizio che vedete qui sotto: quella di Andrea, un ragazzo di 12 anni con alle spalle una lunga storia di vessazioni da parte dei compagni di scuola. Siamo in un paesino della Calabria, dove Andrea frequenta una scuola d’élite. Tutto inizia, come spesso succede tra bambini come un gioco. Che però si è trasformato presto in vero bullismo. “Credevo di essere come mi descrivevano loro, era come se quegli insulti me li meritassi”, racconta Andrea, con gli occhi timidi e un po’ impauriti, a Nina Palmieri.
“All’inizio della prima media mi dicevano parole brutte, come coglione, merda, cacca”. Parole che Andrea si sente ripetere per più di anno a scuola e fuori. “Hanno iniziato delle ragazze e poi i ragazzi le hanno seguite”. A mettere in moto quella macchina di insulti sarebbero state tre bambine che Andrea descrive come le “vip della scuola”. Belle, brave a scuola e amate da tutti.
Nonostante non parli molto a casa, la mamma di Andrea si rende conto che qualcosa non va e più volte va a scuola per cercare di risolvere la situazione. Ma Andrea ormai è diventato il passatempo del gruppo. Fino a un video che finisce su Instagram in cui il ragazzo viene preso in giro pubblicamente: Andrea torna a casa e, in lacrime, racconta tutti ai genitori. Ma le segnalazioni che sua madre continua a fare alla scuola continuano a cadere nel vuoto. Anche dopo l’estate, quando ricominciano le lezioni, le cose non migliorano, anzi: “Mi sono sentito come se fossi ai margini di tutta la scuola”.
Un pomeriggio di dicembre Andrea, che nel frattempo ha iniziato ad andare da una psicoterapeuta, va in un centro commerciale con uno dei pochi che non l’hanno isolato. Un ragazzo che, racconta Andrea, era nella sua stessa scuola ma in un’altra classe gli si avvicina. “Mi ha dato un pugno in pancia”: Andrea cade e si rompe un piede. I genitori presentano denuncia alle autorità e chiedono di trasferire Andrea.
Nina Palmieri è andata a parlare con la preside della vecchia scuola di Andrea, che però ha negato: “Il ragazzo di cui volete parlare in questa scuola non ha ricevuto alcun episodio di bullismo”. Una frase che ci sembra rispecchiare la delusione di Andrea: a fargli male, dice, sono stati più i grandi dei bambini: “Mi aspettavo che li sgridassero, che cercassero di risolvere il problema”.
Questo bambino coraggioso è arrivato addirittura alla consapevolezza che ad avere bisogno di aiuto, sono anche quei bambini che lo bullizzavano: “L’unica cosa che fanno i bulli è ingannare loro stessi. Non ha senso questa cosa”.
Guarda qui sotto il servizio di Nina Palmieri: Bullismo, quando nessuno ci crede