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Chico Forti, un italiano all'ergastolo da 20 anni negli Usa da innocente? | VIDEO

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Enrico Forti detto “Chico” da venti anni si trova rinchiuso in una prigione negli Stati Uniti. È stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Dale Pike, ucciso con due colpi di pistola su una spiaggia di Miami il 15 febbraio 1998. Gaston Zama indaga su una storia che sembra segnata da possibili errori giudiziari

Un italiano da venti anni è all’ergastolo negli Stati Uniti da innocente? La storia di Enrico detto “Chico” Forti inizia nel 1990, quando partecipa a “Telemike” e vince oltre 80 milioni di lire. Con quel denaro Chico vola in America con sua moglie per iniziare una nuova vita. Diventa videomaker e produttore televisivo, realizzando reportage sugli sport estremi che vende a diverse emittenti americani.

Le cose per lui vanno molto bene e riesce a trasferirsi in un quartiere esclusivo di Miami. Decide di diversificare le sue attività e comincia a investire nell’immobiliare. Chico trova una nuova compagna, si risposa e ha tre figli. Proprio quando la sua vita sembra diventare una favola, viene sconvolta all’improvviso. Il 15 febbraio 1998 su una spiaggia di Miami viene trovato morto Dale Pike, ucciso con due colpi di pistola. Per quell’omicidio Chico Forti viene condannato all’ergastolo, che sta attualmente scontando in un carcere di massima sicurezza negli Stati Uniti. Gaston Zama indaga sulla storia di quella morte e della condanna di Chico, che sembra segnata da possibili gravi errori giudiziari.

A sostenere Chico e a credere ciecamente nella sua innocenza c’è sempre stato suo zio Gianni. “È stato condannato per aver pianificato l’omicidio di una persona che non aveva mai né visto né incontrato in vita sua”, ci racconta.

La vicenda inizia quando a Chico Forti viene presentato Tony Pike, proprietario del “Pike’s Hotel” di Ibiza, all’epoca locale molto famoso frequentato da varie celebrità. Nel 1997 Tony fa sapere che l’hotel non è più in buone acque, e propone a Chico di comprarlo. L’affare sembra che si possa fare, fino a quando a pochi giorni dalla chiusura della vendita arriva a Miami il figlio di Tony Pike, Dale. Chico lo va a prendere in aeroporto e poche ore dopo Dale viene trovato morto: vicino al cadavere c’è il biglietto aereo che Chico aveva comprato per lui pochi giorni prima.

Francesco Guidetti, amico di Chico, ci racconta che “viveva un momento fortunato della sua vita, non aveva alcun motivo di ipotizzare un omicidio del genere”. Joseph Tacopina, noto avvocato newyorkese famoso in Italia per essere il proprietario del Venezia Calcio, ha descritto il caso di Chico Forti come il “peggior caso di malagiustizia che abbia mai visto negli Stati Uniti”. Tacopina, che è il legale dell’italiano, ci dice: “Non ci sono prove né dai magistrati né dalla polizia che Chico sia l’assassino o che fosse anche solo su quell’isola quando Dale Pike è stato ucciso. Sono rimasto davvero scioccato quando ho letto la trascrizione del processo. Ci sono dozzine di motivi che fanno dubitare della sua colpevolezza”.

A condividere l’opinione di Joe Tacopina sembra essere anche il magistrato Lorenzo Matassa, che in passato ha approfondito il caso di Chico Forti: “Negli Stati Uniti (per condannare qualcuno, ndr) devi superare ogni ragionevole dubbio”, ricorda. Uno dei dubbi che sorge è l’apparente totale assenza di un movente per l’omicidio: “Non può esistere un delitto senza movente, a cosa giovava l’assassinio di questo ragazzo?”.

Un mistero ancora senza risposta. Sean Crowley, ex poliziotto della sezione omicidi della polizia di New York, sostiene anch’egli che Chico non aveva nessun motivo di compiere quell’omicidio: “Gli andava tutto bene, con o senza quell’hotel a Ibizia”. Hotel che invece, secondo i magistrati americani, sarebbe stata proprio la causa scatenante dell’assassinio: per l’accusa Chico avrebbe deciso di uccidere Dale per non vedere sfumare l’affare, poiché quest’ultimo sarebbe stato contrario alla cessione dell’hotel. Una tesi che però sarebbe stata smontata dalle carte processuali, che però sarebbero state ignorate.

Oltre alla mancanza del movente, sembrano mancare anche le prove che Chico abbia compiuto l’omicidio. “Non c’è niente, è ridicolo”, sostiene l’avvocato Tacopina. “Sembra una commedia, come in un film di Benigni”. Dell’inesistenza delle prove a carico di Chico era convinto anche Ferdinando Imposimato, ex presidente onorario della Corte di Cassazione: “Non sono riuscito a trovare nemmeno un indizio”, aveva detto. L’unica prova sarebbe la sabbia: alcuni granelli sarebbero stati trovati nell’auto di Chico, una Range Rover che secondo l’accusa sarebbe stata usata per portare fino alla spiaggia il cadavere di Dale Pike per poi abbandonarlo tra i cespugli.

C’è un’altra cosa incredibile nel processo a Chico Forti: durante tutte le udienze non è mai stato sentito, non è mai stato chiamato a testimoniare. Nessuno gli ha mai fatto neanche una domanda. Chico sostiene anche di esser stato arrestato, portato in ospedale per prendergli il Dna e portato incatenato sul luogo del delitto senza la presenza di un avvocato. “È tutta una costruzione della colpevolezza”, sostiene lo zio. “Ciò che era a sgravio è stato eliminato o non si trova più”. Posizione sostenuta anche dal suo avvocato: “Anche un novellino dell’investigazione capirebbe che era tutto studiato per incastrare Chico Forti”.

Ma chi potrebbe averlo incastrato, e perché? Sembra ci fosse un’altra persona, che avrebbe avuto movente e possibilità di commettere l’omicidio. Analizzeremo questa eventualità nelle prossime puntate. Resta però da chiarire una cosa: perché questa apparente persecuzione nei confronti di Chico in apparente assenza di prove e movente? C’è un legame tra lui e casi di cronaca che hanno fatto diventare Miami un centro della criminalità degli Stati Uniti: parliamo dell’omicidio di Gianni Versace e del suo assassino Andrew Cunanan.

Andrew Cunanan, dopo una lunga caccia all’uomo, venne trovato morto a Miami. Chico Forti realizzò un documentario in cui veniva dato spazio all’ipotesi che Cunanan sarebbe stato ucciso altrove e poi spostato nella casa in cui è stato ritrovato per inscenare un suicidio. Il documentario mise in cattiva luce l’operato della polizia di Miami. “È da lì che sono cominciati i suoi problemi”, racconto l’amico di Chico Forti. Per esempio la giudice che condannò l’italiano all’ergastolo faceva parte del team che aveva condotto le indagini sulla morte di Cunanan.

Nelle prossime puntate vi racconteremo tutti i dettagli che sembrano non tornare in questa storia, dagli errori della difesa a tutto quello che non torna nella sentenza della condanna. Lo zio, la di lui compagna e alcuni amici sono sempre rimasti in contatto con Chico e si sono spesi costantemente per dimostrarne l’innocenza. Lo zio addirittura si è venduto la casa per sostenere le spese processuali per il nipote. Tra coloro che lottano ancora c’è anche la madre di Chico che oggi ha 91 anni. “Devo mantenermi giovane per aspettare che esca”, ci racconta con un filo di commozione.

Gli sforzi finora compiuti anche dalla politica, sebbene a singhiozzo, non sono serviti: i ministri Frattini, Terzi di Sant’Agata e Bonino si sono spesi per far luce sul caso di Chico Forti, senza però ottenere alcun risultato. “Un cittadino americano non sarebbe mai stato abbandonato così in Italia”, dice Lorenzo Matassa. Il nostro connazionale ha ormai cambiato vari penitenziari negli Stati Uniti, e in alcuni di questi non ha vissuto momenti semplici come potete ascoltare nel servizio qui sopra. Gaston Zama è riuscito a parlare al telefono con Chico: “Faccio gli auguri a mia figlia, oggi ha 23 anni. Quando sono entrato ne aveva 3”. Un giorno tornerà ad abbracciarla da uomo libero?

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