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Afghanistan, la battaglia dei volontari: "Non coltivate l'oppio, distrugge le famiglie" | VIDEO

Atai Walimohamad guida lassociazion FAWN che cerca di convincere i contadini afghani costretti a coltivare il papavero da oppio per i talebani. Ecco come fanno

“Non dobbiamo coltivare papavero da oppio. L'oppio ci separa dalle famiglie, dal nostro Dio, dalla nostra cultura e dal nostro Paese”.

Nessuna associazione di volontariato aveva mai osato rischiare la vita andando nei villaggi del distretto di Goshta, Shinwari e Momamdara, in Afghanistan, a convincere i contadini ad abbandonare le redditizie coltivazioni di papavero da oppio, che vanno a finanziare i signori della guerra legati all’Isis e ai talebani.

Le immagini esclusive che potete vedere sopra arrivano dal distretto di Goshta, a ridosso delle zone tribali al confine con il Pakistan (dove per molti mesi prima di essere catturato ad Abbottabad si nascose Osama Bin Laden).

Questi contadini, che gli uomini dell’associazione FAWN (Free Afghan Women Now) cercano di convincere a dedicare i propri campi a culture più sostenibili, vengono costretti al lavoro dai talebani, che in questa parte del Paese sono ancora molto potenti e ascoltati.

“La maggior parte dei contadini si sono messi a piangere dopo averci sentito parlare – racconta il presidente dell’associazione Atai Walimohamad - perché i loro figli sono diventati tossicodipendenti e non li aiuta nessuno”.

Atai è una vecchia conoscenza de Le Iene. Lo avevamo conosciuto a novembre del 2018, quando aveva rivolto un appello agli italiani per ringraziarli di averlo accolto. LINK

Atai, che oggi ha scritto un libro e vive nel pavese, ha una storia pesantissima alle spalle.

Gli hanno ucciso il padre sotto gli occhi, e a lanciare le pietre sono stati i suoi stessi concittadini, istigati dall’imam del paese. Lapidato, perché predicava un Islam di amore e non di morte. E perché si opponeva al regime dittatoriale dei talebani.

Atai in questi anni ha perso decine e decine di amici, finiti nella rete dei talebani e diventati kamikaze. Ragazzi che invece di andare a scuola o a lavorare hanno fatto una scelta senza ritorno: entrare in quel centro di addestramento per “martiri” che i talebani avevano aperto proprio accanto al villaggio.

La sua famiglia, dopo la morte del padre, è stata oggetto di pesanti attacchi e persecuzioni, tra accuse di aver rinnegato l’Islam e di essere al soldo degli  americani, che nel frattempo erano arrivati in Afghanistan per liberare il paese.

E anche il fratellastro di Atai, un medico che lavorava in un ospedale privato, ha pagato con la propria pelle. Al suo rifiuto di lavorare per loro infatti, i talebani lo hanno prima sequestrato e poi torturato con l’elettroshock. Da quel momento è diventato menomato a livello mentale, ed è dovuto scappare di corsa dal suo paese. 

Una fuga rocambolesca come quella dello stesso Atai (in Italia dal 2013), che durante il viaggio verso l’Europa ha subito un attacco con l’acido e una coltellata alla schiena. Ora è perfettamente integrato nel nostro paese e ha deciso di scrivere un libro per raccontare la sua storia al mondo. (“Ho rifiutato il paradiso per non uccidere”, a cui ha lavorato con lo scrittore e poeta Rosario Lubrano).

Atai oggi si è buttato anche in questa nuova impresa, fondando un’associazione che, come ci racconta, “è nata per liberare le donne afgane dalle atrocità e dai maltrattamenti, donne che spesso vengono bruciate vive, lapidate con false accuse d'adulterio e vendute a 15 anni ai signori della guerra”.

E Atai sa bene di cosa sta parlando: “L'anno scorso l'amica di mia sorella, Shiema, 15 anni, si è ribellata a un matrimonio forzato con un signore della guerra che aveva 64 anni, in cambio di soldi alla famiglia. Il giorno delle nozze la ragazza ha deciso di impiccarsi”.

L’associazione fondata da Atai si occupa anche dei bambini mutilati a causa delle mine, e cerca di convincere i giovani a proseguire negli studi, l’unico possibile fattore di rivalsa sociale. In queste settimane, come abbiamo visto dal filmato, è anche impegnata nella campagna contro la coltivazione dell’oppio.  Se volete avere maggiori informazioni sulle loro attività potete visitare la pagina Facebook https://www.facebook.com/FAWN.italia/

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