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Migrante riportato indietro e ucciso. Le Iene e l'inferno dei lager in Libia

Il giovane sudanese aveva preso un gommone verso l’Italia ma è stato intercettato in mare, riportato a terra e ucciso menter stava fuggendo. Non voleva finire in uno dei “lager” raccontati anche da Marco Maisano

Il tentativo di raggiungere l’Europa via mare era fallito ed era stato riportato in Libia. Lì ha trovato la morte, ucciso ieri da un colpo di pistola dopo aver provato a fuggire. È la tragica storia di un immigrato sudanese, sorpreso dalla Guardia costiera libica assieme ad altri 102 compagni mentre il gommone puntava verso le coste italiane. Con Gaetano Pecoraro torneremo sulla questione dei campi libici con un servizio nella nuova stagione de Le Iene che inizierà da martedì 1 ottobre.

La storia è stata raccontata dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni, che al momento dell’uccisione del giovane sudanese stava cercando di assistere i migranti riportati a terra nell’area del porto di Tripoli. “L’uso di armi da fuoco contro civili inermi è inaccettabile in ogni circostanza”, grida il portavoce dell’Oim, Leonard Doyle.

L’Ue ha confermato di continuare a lavorare “per la “chiusura dei centri” e per “mettere in piedi dei centri che siano in linea con gli standard internazionali“.

Questa è solo l’ultima prova del fatto che la Libia non sia un porto davvero sicuro per le centinaia di migliaia di migranti, soprattutto sub-sahariani, che ogni anno tentano la fuga dalle sue spiagge verso l’Europa. Ed è ancora l’Oim, storica organizzazione internazionale fondata nel 1951, a stimare che a oggi, nei “centri di detenzione” libici sono stipati almeno 5mila migranti, tra cui molte donne e bambini.

Migranti che sempre più spesso, come anche noi de Le Iene abbiamo raccontato attraverso le loro testimonianze, sono sottoposti a vessazioni e vere e proprie torture. Migranti che talora vengono venduti a bande di trafficanti di uomini, che li imprigionano per cercare di spillare soldi alle loro famiglie d’origine. Un inferno insomma, che vi avevamo raccontato in particolare nel servizio di Marco Maisano che potete vedere sotto. 

Nel 2015 Marco Maisano era stato proprio in Libia e aveva parlato con alcuni di quei migranti bloccati ad un passo dall’Italia.

“Aiutaci, non andare via. I libici potrebbero portarci in prigione, dove picchiano le persone”, ci aveva implorato un giovane immigrato, “parlate con loro e dite di rimandarci a casa”. Meglio tornare a casa dunque che non dover rimanere alla mercé di un paese allo sbando, ancora conteso tra milizie jihadiste e opposte fazioni della guerra civile che vede opporsi il generale Haftar e Al Serraj.  

Marco Maisano arriva nella zona riservata alle donne e qui viene accolto da pianti disperati e richieste di aiuto tra chi vorrebbe essere lasciato libero di partire e chi è disposto a ritornare a casa. “La mia famiglia è stata rapita dai terroristi di Boko Haram”, racconta una ragazza.

Maisano va poi in una zona della città ancora al centro dei combattimenti ed entra insieme alla polizia in una casa, dove un gruppo di trafficanti di uomini teneva prigionieri decine di uomini.

Non se la passano meglio le centinaia di uomini, donne e bambini stipati al sole e in condizioni igieniche pietose in una prigione della Capitale, che visitiamo.

 “La polizia mi ha colpito con un’arma sul fianco, non riesco a camminare”, racconta un giovanissimo ragazzo nigeriano. “Sono qui perché non c’è più nulla nel mio paese”.

“Andiamo molto male, non ci trattano bene”, conferma una donna nella sezione femminile della prigione. “Qui soffriamo, guarda cosa danno da mangiare ai bambini da stamattina” e ci mostra una confezione di yogurt. “Io sono del Senegal, voglio tornare lì”, si sbraccia un’altra ragazza. Meglio a casa, dunque, che non nelle mani dei libici.

Guarda qui sotto il servizio di Marco Maisano tra i migranti africani intrappolati nei “lager” libici.  

 

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