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Licenziamenti all'Ilva di Taranto: ArcelorMittal ci guadagna? | VIDEO

Gaetano Pecoraro vola in Belgio per farsi raccontare dagli ex operai come ArcelorMittal ha comprato le acciaierie locali per poi licenziare gran parte del personale. Una strategia che vuole applicare anche in Italia? Noi abbiamo scoperto un meccanismo in base al quale la crisi dell’Ilva di Taranto potrebbe far guadagnare milioni all’azienda

Dietro i 4.700 licenziamenti annunciati da Arcelor-Mittal per l’acciaieria Ilva di Taranto c’è un preciso piano di speculazione finanziaria?

Se lo chiede Gaetano Pecoraro, che torna con una nuova puntata della sua inchiesta sullo stabilimento pugliese, da mesi al centro di un durissimo braccio di ferro tra il gruppo franco-indiano e il nostro Governo.

La Iena è volata in Belgio per incontrare alcuni degli ex operai dello stabilimento locale di ArcelorMittal, licenziati e caduti in una spirale di depressione dalla quale è difficile uscire.

Il più informato sulle presunte politiche dell’azienda sembra Frederic, che a Gaetano Pecoraro racconta: “Si diminuisce il personale, si licenziano gli operai e ogni volta si accetta e si crede che andrà bene anche così ma alla fine dei conti chiudono tutto. Hai presente un limone? Lo spremi, lo spremi e poi lo butti via”.

“Avevamo un’industria molto grande, era su un’area di 40 chilometri”, spiega ancora Frederic, operaio di quella fabbrica che ai tempi della massima produzione dava un lavoro a quasi 10mila persone, sfornando 4.000 tonnellate di ghisa al giorno.

Nel 2006 però arriva il signor Mittal, imprenditore indiano leader mondiale della produzione dell’acciaio. 

“Dovevamo fare  un sacco di investimenti, ne hanno fatto qualcuno poi hanno smesso”, prosegue Frederic. “Quando Arcelor ha preso il controllo, ha voluto ottenere un rendimento anche del 10-15% sul capitale investito, un profitto esagerato, una cosa che non si è mai vista in siderurgia. E poi piano piano abbiamo capito che volevano chiudere”.

Nel 2011 infatti il gruppo annuncia la chiusura dei due altiforni e un paio di anni dopo si ferma tutta la fase a caldo, cioè la vera e propria produzione dell’acciaio.

Secondo gli stessi  commissari nominati dal governo italiano, dietro le decisioni di Arcelor Mittal sull’Ilva di Taranto ci sarebbe una precisa strategia industriale, tesa a “uccidere un proprio importante concorrente”. Vale a dire comprando aziende concorrenti solo per poi farle chiudere, a proprio esclusivo vantaggio.

In Belgio lo scontro sociale era arrivato a livelli altissimi, da guerriglia urbana, ma l’azienda non ha receduto dalle proprie posizioni.  “Abbiamo combattuto ma sapevamo che avremmo perso”, racconta Luigi, ex operaio belga di origini siciliane. È uno dei primi a perdere il lavoro e dopo il licenziamento è iniziata una spirale fatta di alcol e depressione, che gli ha fatto perdere sia la moglie che la casa, che ha dovuto vendere. “C’è stato anche chi ha tentato il suicidio”, ci racconta l’ex operaio.

La vita di questi lavoratori è segnata per sempre, come quella di Jobie, che ha perso tutto: “Non vado più in vacanza, si contano i soldi a fine mese, non ho più una moglie. Tra noi c’è chi ha cominciato a bere, non c’era un bel clima nelle case e il morale era a terra. Molti non hanno più trovato lavoro”.

A morire, accanto alla vita di questi operai, anche gli stessi quartieri che prima ospitavano la produzione dell’acciaio. Un produzione, racconta ancora Frederic, forse non attentissima al tema della sicurezza e della salute.

“I lavoratori erano sempre tutti neri, come dei minatori, un sacco di fumi e di gas. Ho avuto colleghi che si sono ammalati di cancro, era normale se lavoravi lì”.

E quando abbassiamo la camera ci dice una cosa che se vera sarebbe molto grave: “Era il sindacato che doveva fare le analisi ma i sindacati sono molto legati con i politici. Quindi i sindacati non fanno le analisi”.

Copione simile anche in Romania, dove la più grande acciaieria del paese, che impiegava 20mila persone, fu acquistata nel 2003 da ArcelorMittal e appena 8 anni dopo aveva solo 700 dipendenti!

Con Gaetano Pecoraro abbiamo scoperto un meccanismo che, se confermato, getterebbe un’ombra lunghissima sulle politiche industriali di colossi come ArcelorMittal.

Ridurre drasticamente la produzione potrebbe infatti essere redditizio perché in gioco ci sono le quote di Co2 per produrre, ovvero i “permessi per inquinare”. E così se si produce meno, a causa della riduzione del personale e della produzione, queste quote ottenute varrebbero oro. Ce lo spiega meglio Frederic “Se le rivende in Borsa perché c’è un mercato di queste quote. Ed è un regalo, perché Mittal non le ha mai pagate. È la stessa cosa in tutta Europa”.

Un meccanismo applicabile anche al nostro paese? Per cercare di capirne di più intervistiamo Agnese Ruggiero, esperta della ong “Carbon market watch”, che si occupa di inquinamento industriale e del mercato di questi permessi. “Tramite il mercato di emissioni l’industria pesante tra il 2008 e il 2015 ha ricavato circa 25 miliardi di euro. Arcelor Mittal ha fatto un profitto di 1 miliardo e 800 milioni, con questo mercato, in 5 anni”.

Stiamo parlando dunque di un profitto ricavato dalla vendita delle quote gratuite di Co2 assegnate dall’Unione Europea e il tutto senza neanche che ci sia stata una diminuzione delle emissioni inquinanti nell’ambiente.

Un sistema che, secondo un giornalista di Europa Today, in Italia, a fronte del licenziamento a Taranto di 4.700 lavoratori, potrebbe fruttare all’azienda un profitto di 400 milioni di euro!  

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