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Caso Nicosia: la deputata Occhionero e il “postino” della mafia | VIDEO

Ismaele La Vardera, ci racconta il caso di Antonello Nicosia, arrestato con l’accusa di utilizzare il suo ruolo da assistente della deputata di Italia Viva Giuseppina Occhionero per entrare nelle carceri e favorire boss vicini al capo latitante della mafia Matteo Messina Denaro

Ismaele La Vardera ci racconta il caso di Antonello Nicosia, l’ex assistente parlamentare della deputata di Italia Viva Giuseppina Occhionero.

Nicosia è stato arrestato qualche giorno fa con l’accusa gravissima di associazione mafiosa. Un uomo che al telefono, intercettato dagli inquirenti, diceva così di Falcone e Borsellino: “Sono vittime di un incidente sul lavoro”. 

Nicosia, che nel curriculum e sui social si vantava di essere esperto di “trattamento pedagogico penitenziario” e che era presidente di una onlus che si occupava di diritti umani, secondo i magistrati avrebbe utilizzato il suo ruolo da assistente parlamentare per entrare in carcere e fare da “postino” ai boss mafiosi condannati in via definitiva. E, dicono sempre gli inquirenti, favorendo il boss Santo Sacco, che lo stesso Nicosia (in un’altra intercettazione) dice di essere vicino al potentissimo latitante Matteo Messina Denaro.

Per i giudici Nicosia, che si è scoperto essere stato condannato in via definitiva a 10 anni per traffico di stupefacenti, avrebbe utilizzato quel ruolo da assistente parlamentare “schermare la sua partecipazione a Cosa Nostra”.

Ismaele La Vardera va a sentire alcune delle persone che conoscevano Nicosia, dal suo legale alla madre, che sulle frasi a Falcone e Borsellino dice: “Mio figlio ha il vizio di scherzare, noi lo sappiamo che fa lo scemo”.

Stando all’ipotesi dei magistrati Nicosia, invece di aiutare il boss Accursio Dimino nel reinserimento nel mondo del lavoro, avrebbe progettato con lui estorsioni, danneggiamenti e l’omicidio di un imprenditore di Sciacca. Il figlio di quel’imprenditore, a Ismaele La Vardera, dice di Nicosia: “È malato di mafia, è un genio del male”.

Le indagini raccontano anche questo: sempre con quel boss, Nicosia avrebbe progettato di incendiare l’auto di un ex dipendente della ditta di famiglia Sicil Legno, colpevole di aver chiesto dei pagamenti arretrati che gli spettavano. “Nicosia me lo ricordo, era il figlio dell’amministratore della ditta”, spiega quel dipendente alla Iena.

“Io svolgevo un ruolo che lui non ha potuto fare, perché poi è stato buttato fuori da suo zio, non era affidabile. Possiamo dire che era una persona cattiva”, afferma l’uomo.

Secondo gli inquirenti Antonello Nicosia avrebbe progettato anche una punizione violenta nei confronti di un altro imprenditore, che aveva ottenuto un appalto che faceva gola a Cosa Nostra. E sulla lezione da impartire a quell’imprenditore, per telefono, aveva detto “ci vuole la pistola”.

Sempre riguardo il boss Santo Sacco, Nicosia lo avrebbe incontrato in carcere a Trapani  e gli avrebbe consegnato una lettera su carta intestata della Camera, che per legge non può essere sottoposta ad alcun controllo, perché proveniente da un parlamentare.

E quando Nicosia racconta alla deputata Occhionero di quella carta intestata, lei gli avrebbe detto “bravo” e commentando la reazione di Santo Sacco alla lettera avrebbe esclamato “Amooore”.

Pare che l’impegno di Nicosia fosse indirizzato a far trasferire Sacco, attraverso l’aiuto della deputata, dal carcere di Nuoro a quello di Roma. Un’idea di trasferimento al quale l’onorevole pare abbia risposto in questo modo: “Fosse per me sarebbe già nel mio ufficio”.

E quel Santo Sacco, dice Nicosia in un’altra intercettazione, sarebbe un braccio destro del “primo ministro” (così veniva chiamato nelle intercettazioni), vale a dire, ritengono gli investigatori, Messina Denaro.

Quando Ismaele La Vardera va dalla deputata Occhionero, per chiederle conto di quel suo collaboratore, l’anziano padre della donna si scaglia contro di lui e il suo operatore, brandendo una scopa.

“Io sono dieci giorni che non esco e mia figlia non ha fatto niente”, urla a La Vardera con la scopa in mano. Lei non risponde a nessuna domanda ma, poco dopo l’aggressione, ci chiama una sua collaboratrice per chiedere di poter presentare una lettera di scuse a suo nome.

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