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Omicidio Mollicone: quella porta nascosta e tutti i misteri della caserma | VIDEO

Tra gli indagati per l’omicidio di Serena Mollicone figura Marco Mottola, figlio dell’allora comandante dei carabinieri e amico della ragazza uccisa nel 2001, appena maggiorenne, ad Arce (Frosinone). Veronica Ruggeri lo ha raggiunto per chiedergli dei misteri irrisolti da 18 anni. Mentre la famiglia Mottola indica come possibile assassino il brigadiere Tuzi, trovato morto a poche ore da una sua clamorosa testimonianza in procura: “La ragazza è stata uccisa in caserma”

È indagato per l’omicidio di Serena Mollicone, un mistero irrisolto da 18 anni. Marco Mottola, 37 anni, è sospettato di essere l’assassino della ragazza uccisa nel 2001. Veronica Ruggeri l’ha raggiunto per raccogliere la sua testimonianza.

La ragazza è stata uccisa, appena maggiorenne, nel 2001. Dopo 18 anni non c’è ancora il nome dell’assassino. Marco Mottola non ha mai detto una parola su Serena e neanche suo padre, Franco, che ai tempi era il comandante della stazione dei carabinieri ed è indagato anche lui per l’omicidio che sarebbe avvenuto nella caserma di Arce, in provincia di Frosinone.

La mattina della scomparsa Serena sarebbe andata alla stazione dei carabinieri per denunciare proprio Marco, indicato da molti come lo spacciatore del paese. “Picchiano Serena, cade e si fa male. Anziché aiutarla continuano a darle botte”, sostiene il papà di Serena (clicca qui per il primo servizio dell’inchiesta di Veronica Ruggeri). Come Guglielmo Mollicone, anche il brigadiere Santino Tuzi ha accusato i Mottola per l’omicidio della figlia. Il brigadiere ai tempi lavorava in quella caserma. Tuzi è stato il primo a dichiarare in procura di aver visto Serena all’interno della stazione dei carabinieri il giorno della sua scomparsa e di non averla vista più uscire. Pochi giorni dopo la sua testimonianza è stato trovato morto vicino alla diga di Arce (clicca qui per il secondo servizio della nostra inchiesta).  “Mio padre è stato minacciato per non fargli confermare le dichiarazioni fatte in procura“, sostiene la figlia Maria Tuzi.

Oltre a questa testimonianza, ci sarebbe anche una porta che confermerebbe la presenza di Serena in caserma. Sul pannello che la riveste c’è un buco che potrebbe essere stato aperto dalla testa della povera ragazza, come sostengono i consulenti della procura.

Solo nel 2016 i Ris entrano nel locale dove sarebbe avvenuto l’omicidio di Serena. Si trova al primo piano della caserma, al terzo abitano i Mottola e proprio loro lo utilizzavano come ripostiglio. I Ris riesumano anche la salma di Serena per una nuova autopsia.

“A far perdere conoscenza a Serena è stato un urto su una superficie piana e ampia come una parete, un pavimento oppure una porta”, è il responso di quelle analisi dopo 16 anni. Serena era alta 1.55 metri. Il buco sulla porta è stato misurato a 1.54 metri. “Nei capelli di Serena c’erano frammenti di quella porta”, sostiene il padre. Questo elemento si aggiunge alla testimonianza di Tuzi, il brigadiere che aveva testimoniato di aver visto Serena in caserma. Era stato informato, ha detto ai pm, del suo arrivo da un componente della famiglia Mottola.

Il comandante della stazione inizialmente aveva detto di aver dato un pugno alla porta dopo una lite con il figlio Marco. Gli inquirenti hanno stabilito che quella porta è stata nascosta per anni nella casa dell’appuntato Francesco Suprano, anche lui indagato. “Ha spiegato agli inquirenti di averlo fatto per evitare che la spesa della rottura della porta fosse addebitata a lui”, dice Carmelo Lavorino, criminologo che difende la famiglia Mottola. Gli inquirenti oggi sospettano che l’avrebbe nascosta perché distruggerla avrebbe alimentato sospetti sulla caserma.

Dopo i nostri primi servizi in redazione è arrivata un’email firmata dal direttore del dipartimento di salute mentale dell’Asl di Frosinone. Ci racconta che dopo l’omicidio, tra i tossicodipendenti del Sert si parlava molto di Serena. “Dicevano che la figlia del maresciallo l’aveva uccisa in caserma perché lei voleva sputtanarlo. Erano a conoscenza del delitto avvenuto per motivi di droga”, ci dice. Sostiene di averlo detto alle forze dell’ordine, ma l’elemento sarebbe stato ignorato.

“Ci troviamo davanti a un tentativo di aggressione sessuale non riuscita”, sostiene Lavorino, difensore dei Mottola. E sulla testimonianza del brigadiere Tuzi ha il suo punto di vista: “Ha mentito ed è altamente inattendibile quello che lui ha detto. Si è inventato quella balla per motivi psichici molto gravi”, dice. Sostiene di conoscere anche il nome di quello che lui sospetta essere l’assassino, non ne rivela il nome ma aggiunge: “Non gli è stato fatto l’esame del dna”. I consulenti di Mottola vogliono chiedere una seconda autopsia di Tuzi perché sono convinti sia lui il colpevole. Secondo la loro ricostruzione, Tuzi avrebbe incontrato Serena Mollicone per strada. Le avrebbe dato un passaggio per portarla dal dentista, poi l’avrebbe uccisa.  

Nella famiglia Mottola c’è una persona totalmente estranea ai fatti: la figlia Anna. A lei si rivolge l’appello di Guglielmo: “Perché non parla? Che dicesse che cosa ha sentito in quei giorni nella sua famiglia”. Anche noi abbiamo incontrato Anna: “Siamo una famiglia stanca, abbiamo bisogno di pace e presto verrà fuori la verità. Chi ha ucciso Serena è ancora libero da qualche parte, ma non è nella mia famiglia”.

Il prossimo 15 gennaio 2020 ci sarà l’udienza preliminare per il processo Mottola. 

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