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Vita da rider tra caporalato e ricatti: i nuovi schiavi devono dire sempre di sì

La procura di Milano apre un’indagine sul food delivery, ipotizzando caporalato e sfruttamento del lavoro di immigrati irregolari. In un mondo di “schiavi” di cui vi abbiamo parlato anche in un servizio di Corti e Onnis

Talmente schiavizzati da essere costretti a sfruttare, a loro volta, altri “schiavi” ancor meno tutelati. È il quadro desolante che emerge sempre sul mondo dei rider e delle piattaforme di food delivery, un mondo di cui vi abbiamo parlato anche con il servizio di Corti e Onnis che vedete in fondo all’articolo.

Proprio oggi si è saputo che la procura di Milano ha aperto un’indagine sul mondo del rider. L’indagine vuole verificare la violazione delle norme antinfortunistiche e di sicurezza stradale e cerca di accertare se esistano davvero forme di caporalato in questo settore. 

Parliamo di un mondo, quello dei rider che sfrecciano tra le nostre strade, di almeno 20mila lavoratori. Fattorini in bicicletta che percepiscono uno stipendio medio mensile di poco superiore agli 800 euro per un impegno di lavoro a tempo pieno. Molte altre cose che emergono in questo mondo sono ancora meno piacevoli.

Ieri vi avevamo raccontato, riprendendo un’inchiesta del Corriere della Sera, come nel “sottobosco” delle consegne a domicilio si sia diffusa una forma molto particolare di caporalato: diversi rider registrati alla piattaforma di food delivery (soprattutto stranieri, più deboli socialmente) “cedono” illegalmente il proprio account ad un altro straniero, che non avendo i documenti di soggiorno in regola non potrebbe lavorare. L’inchiesta della procura di Milano, di cui si è saputo oggi, è nata proprio da alcuni controlli effettuati in agosto, quando erano stati trovati alcuni rider senza permesso di soggiorno.

Il subaffitto quando va bene è una forma di solidarietà, che permette di far lavorare un connazionale in difficoltà. Quando invece va male diventa vero e proprio sfruttamento: chi cede la propria “licenza” di consegna, il più delle volte, lo fa infatti ricevendo in cambio dei soldi (almeno 65 Euro) se non addirittura una percentuale sulle consegne a domicilio  effettuate dall’altro. Parliamo di una cifra di 65 euro perché i rider devono pagare questa cifra alle piattaforme per poter ottenere la bicicletta e la borsa termica con cui consegnare.

Ma è un po’ tutto l’impianto contrattuale del food delivery che forse andrebbe rivisto, anche alla luce della nuova inchiesta pubblicata oggi dal quotidiano Repubblica. Un’inchiesta che racconta come l’algoritmo che assegna ai rider i clienti a cui consegnare premierebbe soprattutto gli “ultimi”. Parliamo di quelli, per la gran parte lavoratori stranieri, disposti a consegnare a ora del giorno e della notte, a lavorare sotto la pioggia e nei quartieri a rischio. Il compenso? Meno di un euro a chilometro percorso.

E chi, secondo voi, è disposto a dire sì a queste richieste? Naturalmente chi non ha tutele sindacali né assicurazione sugli infortuni, chi non avrà alcuna pensione e ha solo bisogno di guadagnare il più possibile. Schiavi, in una parola.

Gli algoritmi delle principali piattaforme, racconta a Repubblica una delle pochissime ragazze in servizio, escludono di fatto donne, studenti e italiani, che provano ad avanzare legittime rivendicazioni e che ogni tanto dicono no.  E che dopo questi no si vedono assegnare meno clienti.

Di quest’emergenza sembrerebbe essersi accorta anche la politica, con il primissimo decreto “pro-rider” del governo di Giuseppe Conte che punta a riconoscere alcuni semplici diritti: a poter dire di no ad alcune consegne senza essere penalizzati, a essere assicurati e ad avere parità di genere all’interno della categoria.

Anche noi de Le iene ci siamo occupati della difficile vita dei rider, in particolare di quelli milanesi, nel servizio di Corti e Onnis che potete rivedere qui sotto. Un servizio che, dopo gli scherzi iniziali, più di ogni altra parola racconta l’emergenza sfruttamento che vive questa categoria di lavoratori.

Li abbiamo avvicinati dopo le polemiche per la pubblicazione anonima sul web di una blacklist di clienti famosi, tra cui calciatori e influencer, che ai rider di Milano non lascerebbero mai le mance. Una blacklist che si concludeva con un minaccioso: “Sappiamo dove abitate”.

Corti e Onnis sono andati alla sede di Deliverance Milano, il collettivo che ha pubblicato la lista, ma non ci hanno voluto parlare. Così, per capire come vivono e lavorano i rider che sfrecciano su bici e motorini per le strade di tantissime città italiane, abbiamo deciso di chiamarli direttamente a casa nostra, partendo come sempre dai nostri scherzi per arrivare poi alle domande serie!

Stiamo parlando di decine di migliaia di persone assunte come collaboratori con contratto occasionale: si lavora su richiesta. La paga è a consegna, in rider guadagna circa 8 euro l’ora, per una media di 64 euro al giorno.

Chiediamo direttamente agli interessati. Corti e Onnis hanno ordinato a domicilio. Quando i rider entrano a casa loro trovano un’accoglienza molto bizzarra: dalla coppia omosessuale che è rimasta incastrata in una posizione inequivocabile ai due amici strafatti che vogliono cenare, fino alla partoriente che chiede aiuto!

Le Iene iniziano a conoscerli meglio. Paga all’ora? “5 euro per ogni consegna”, risponde uno. Mentre un altro rider viene pagato “per ogni chilometro 63 centesimi, poi ogni ordine 3 euro”. Quanto si guadagna in una giornata? “40 euro circa”. Ma a un altro rider va meglio: “100 euro in una notte”.

Parliamo di mance. Numero di clienti che la lasciano? “Alla settimana capita due o tre volte”, mentre in una settimana questo rider vedrà “migliaia di clienti”. Chi dà più spesso le mance? “Sono i poveri che danno le mance, i ricchi si tengono i soldi”.

Guarda qui sotto il servizio di Corti e Onnis con i rider milanesi

 

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