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Il ristorante Corleone by Lucia Riina e l'intervista alla figlia del boss dei boss

L’ultima figlia di Totò Riina ha aperto un ristorante a Parigi. Ed è subito polemica come quando vennero lanciate le cialde Zu Totò e il nostro Giulio Golia aveva intervistato un’altra figlia del boss, Maria Concetta

Si chiama “Corleone” e promette "autentica cucina siciliana-italiana da scoprire in un ambiente elegante e accogliente". Fino a qui sembra un normale ristorante che ha appena aperto a Parigi. A far indignare è però chi lo gestisce che utilizza nel nome e nel menù chiari riferimenti alla città siciliana. Dietro questa nuova attività c’è infatti Lucia Riina, la figlia del boss mafioso capo di Cosa Nostra e dei Corleonesi, morto in carcere nel 2017, dove stava scontando 26 ergastoli per decine di omicidi e stragi.

Da tempo l’ultima erede della famiglia Riina lamentava proprio su Facebook di sentirsi “oppressa” ed “emarginata”. Da qui la voglia di cambiare vita trasferendosi a Parigi, dove ha avviato il nuovo ristorante che si trova in Rue Daru una stradina non lontana dall’Arc de Triomphe, dal parco di Monceau e dal celebre Lido. La nuova attività è intestata alla società per azioni Luvitopace con un capitale sociale di mille euro e il cui presidente è Pierre Duthilleul.

Il nome di Lucia Riina compare nell’insegna: assieme al marito ne cura la gestione e la cucina, tanto che il menu è propone specialità tipiche della cucina siciliana-italiana. L’apertura del ristorante sta scatenando polemiche. “È inaccettabile che chi ha massacrato Corleone, contribuendo a marchiarla in maniera infame, oggi possa usare il nome del paese per trarne vantaggio economico”, commenta il sindaco della città siciliana Nicolò Nicolosi.

Un caso analogo, con altrettante polemiche, si era visto con l’uscita di "Totò Riina, mio padre, era il mio eroe" scritto nel 2016 dal figlio Giuseppe in cui racconta il boss di Cosa Nostra. L’anno dopo stessa scena sono state lanciate da un’altra figlia, Maria Concetta Riina, le cialde “Zu Totò”. 

Il nostro Giulio Golia l’ha intervistata. “Quando chiudo gli occhi io vedo mio padre, voi vedete un’altra persona, poi che lui si chiami Totò Riina, questo è un altro discorso”, diceva la donna ripercorrendo anche gli anni della sua infanzia, quando suo padre era latitante: “Noi eravamo in giro per l’Italia, lui ci diceva che per lavoro dovevamo spostarci. Per noi era quasi un gioco. Non ci ha mai detto che dovevamo seguire o eravamo seguiti. Uscivamo per Palermo, mio padre usciva di casa normalmente”.

In famiglia non si è mai fatto scappare nulla della sua attività mafiosa? “Mio padre ci diceva che lavorava per una ditta”, prosegue Maria Concetta Riina. “Non abbiamo mai visto armi o fucili per casa. Quando ci fu la strage di Capaci noi eravamo sul divano con lui. Ho saputo del suo arresto dalla televisione. Abbiamo raccolto le nostre cose, chiamato un taxi e ce ne siamo andati. Allora capimmo che era davvero mafioso”.

Dal 15 gennaio 1993, lei ha sempre visto il padre in carcere in colloqui tutti registrati: “Gli ho sempre chiesto come stesse, non che cosa avesse combinato”.

Guarda qui sotto l’intervista completa di Giulio Golia a Maria Concetta Riina, un servizio che vale davvero la pena di vedere e rivedere

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