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News | di Alessandro Barcella |

Siria, combattenti italiani contro l'Isis rischiano di diventare "sorvegliati speciali" | VIDEO

Un volontario italiano, impegnato in Rojava contro l’Isis in ritirata, ci ha mandato queste immagini esclusive degli ultimi combattimenti al fronte. Per voi è un terrorista?

Chi combatte i terroristi, può essere considerato a sua volta un terrorista? Sembrerebbe una domanda retorica, e la risposta dovrebbe essere: ovviamente no! Soprattutto se i terroristi che si combattono sono quelli dell’Isis, le bandiere nere che hanno ridotto la Siria e l’Iraq in un cumulo di macerie, e che tanti attacchi hanno lanciato anche contro l’Europa. Uomini spietati, che hanno ridotto la Siria nelle condizioni che vedete nel video sopra che ci è stato inviato da un giovane italiano al fronte contro gli uomini del Califfo Al-Baghdadi.

Questo principio, però, sembrerebbe non essere così scontato, almeno a vedere quello che sta succedendo a cinque ragazzi di Torino. I loro nomi sono Eddy, Jacopo, Davide Jack e Pachino. Noi de Le Iene, con Nadia Toffa, avevamo già incontrato in Siria proprio Davide, raccontando in questo servizio la sua rivoluzione e la sua scelta coraggiosa.

I 5 vivono a Torino, dove sono tornati dopo aver combattuto a lungo contro l’Isis (o Daesh, come si chiama più comunemente in Siria). Questi ragazzi, giovani normalissimi come potrebbero essere i nostri figli o i nostri compagni di scuola, hanno deciso di imbracciare le armi contro il Califfato, e lo hanno fatto in Siria accanto alle unità dello YPG, le unità di protezione popolare, a maggioranza curda, che operano nel nord della Siria e che sono di fatto la forza armata ufficiale nella regione autonoma curda del Rojava.

Persone, tra cui anche moltissime donne, osteggiate in particolare dalla Turchia, che combattono da anni contro l’espansionismo dei fondamentalisti islamici. Una guerra che è anche la nostra, insomma. Perché il terrorismo purtroppo non conosce dogane.

Non è così però per la Procura di Torino, per cui i 5 sono “socialmente pericolosi”, tanto da valutare la possibile applicazione della misura di “sorvegliati speciali”. Il verdetto, atteso per fine gennaio, è ora stato rimandato a metà marzo.

Se la misura dovesse passare, i 5 (per almeno due anni) dovrebbero essere allontanati dalla città di Torino, non potrebbero uscire nelle ore notturne né guidare e dovrebbero tenere sempre con sé un libretto rosso, una sorta di carta identificativa delle persone socialmente pericolose.

E un altro “compagno” d’armi dei 5, che non è però al momento indagato o in attesa di questo giudizio, si chiama Lorenzo, nome di battaglia “Tekosher”. È lui che ha girato le immagini dal fronte che potete vedere sopra, che documentano gli ultimi scampoli di resistenza dell’Isis nei territori del Rojava.

Trentadue anni, fiorentino, Tekosher è da oltre un anno e mezzo che ha deciso di combattere in prima persona il terrorismo, arruolandosi in quella che chiama “la rivoluzione dei popoli del Rojava”, e combattendo diverse volte in luoghi passati tristemente alla storia (tra cui Afrin e Deir Ezzor, dove si sono concentrate le ultime sacche di resistenza del Califfato in Siria).

Tekosher ha girato in prima persona le immagini dei combattimenti che potete vedere, nel deserto attorno ad Ajin. “E' stata una battaglia molto dura. Abbiamo impiegato molto tempo a conquistare la città, che era una roccaforte di Daesh, molto ben difesa. Ogni volta che strappavamo a loro del territorio, poi Daesh contrattaccava ed eravamo costretti a ricominciare tutto daccapo. Molti miei compagni sono morti nello sforzo per conquistare Ajin. Ero già stato a Raqqa subito dopo la liberazione, sono abituato a vedere un certo tipo di distruzione, ma qui ad Ajin siamo proprio a un altro livello: sembra di stare dentro “Guernica”, il quadro di Picasso”.

Tekosher, in un suo diario della battaglia, racconta un altro episodio: “Daesh ha cecchini formidabili -  scrive - e molto difficili da individuare. Una volta raccolto il corpo di un compagno e tornati un paio di case indietro saliamo su un piano sopraelevato, nel tentativo di capire da dove spara. C’è da stare ben attenti anche ai lati, per evitare eventuali manovre d’accerchiamento, altra specialità di Daesh. D’improvviso il suono di un missile sganciato da un aereo taglia l’aria proprio vicino alla nostra posizione. Il palazzo vicino al nostro va letteralmente in frantumi. Enormi blocchi di cemento armato volteggiano leggiadri nel cielo, facendosi evidenti beffe di ogni nozione di forza di gravità. Faccio appena in tempo a coprirmi con le braccia la testa – scrive ancora il giovane - prima che i detriti c’investano. Una grossa pietra mi centra in pieno petto, facendo saltare la molla di uno dei caricatori, che a momenti quasi mi prende in faccia”.

È la guerra, direbbe qualcuno, ma questo giovane (come i 5 ragazzi di Torino) ha scelto di combatterla. E non di osservarla in tv, seduto comodamente sul divano.

“Adesso resta solo ancora la roccaforte di Al Marashidah, da togliere alle bandiere nere di Daesh”. E Lorenzo Tekosher proverà a farlo personalmente, perché lui a Al Marashidah ci sta per tornare (e infatti mentre parla con noi sta preparando il suo zaino). Pronto al combattimento vero, ancora una volta.

Una battaglia che oltre al rischio inevitabile di restare ucciso, può comportare anche grossi guai giudiziari al suo rientro in Italia.

E sulla sorte toccata agli altri 4 suoi compagni torinesi, ci dice: “Se li indagassero almeno avrebbero elementi per potersi difendere. Le autorità italiane stanno solo cercando di metterli sotto sorveglianza speciale. Il loro unico crimine – prosegue Tekosher - è stato quello di venire in Rojava a difendere questa rivoluzione, alcuni tra l’altro neanche combattendo realmente, ma facendo giornalismo o lavorando nella società civile. Pare che il loro unico crimine sia quello di saper usare un’arma ma a questo punto andrebbero indagate tantissime persone in Italia. Mi sembra profondamente ingiusto trattarli da terroristi”.

E su un eventuale rischio anche per lui, chiosa: “Io non penso di tornare in Italia a breve, ma anche quando lo farò non avrò problemi ad assumermi le mie responsabilità. Sono molto orgoglioso di fare quello che sto facendo e sono convinto di stare dalla parte giusta. Ora, se anche conquisteremo l’ultima roccaforte di Al Marashidah, penso che la mentalità di Isis, feudale e patriarcale,  sopravviverà. La battaglia è ancora lunga, ma siamo qui per questo!”.

E forse anche per onorare la memoria del bergamasco Giovanni Francesco Asperti, nome di battaglia “Hiwa Bosco”, il primo combattente italiano dello Ypg ufficialmente morto, a inizio gennaio di quest’anno. E voi cosa pensate della scelta di Lorenzo-Tekosher e dei suoi 5 compagni torinesi? Scrivetecelo all’indirizzo emailredazioneiene@mediaset.it

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