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Terremoti: “Ecco come cerco le anomalie che li annunciano”

Fedora Quattrocchi lavora per Ingv, ma parla a titolo “strettamente personale”. Da anni conduce ricerche sulle “anomalie” che potrebbero forse annunciare, con giorni o ore di anticipo, i terremoti. Le risponde Carlo Doglioni, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia 

Esistono segnali che in qualche modo anticipino l’arrivo di un terremoto? Una recente ricerca americana sostiene di sì, spiegando che si sono osservati “tremori tipici”, registrati dai sismografi e da stazioni gps, poco prima di una scossa sismica. Il problema però è l’anticipo con il quale questi “segnali” arriverebbero: la ricerca dell’Università dell’Oregon parla di 10-15 secondi prima della scossa. Troppo poco perché l’allarme possa essere lanciato per tempo, salvando così vite umane.

C’è però una voce fuori dal coro in Italia che parla di “anomalie” che si manifesterebbero con un preavviso maggiore: da un giorno prima sino a qualche ora dalla scossa, lasciando più tempo utile per intervenire.

La voce è quella di Fedora Quattrocchi, un dirigente-tecnologo dell’Ingv, l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia che però ci tiene a specificare di parlare “a titolo strettamente personale”. E ora capirete perché.

“Dobbiamo fare una premessa: la maggior parte dei ricercatori in Italia  si dedica alla previsione a lungo termine, basata sulla statistica di terremoti passati”, racconta. “Ricerche che prevedono la possibilità che per esempio entro 50 anni, nella zona x, avvenga un terremoto della magnitudo y. Si tratta di studi che però a mio personalissimo avviso, per la popolazione, sono relativamente importanti, anche perché sono cose che già si sanno e sulla base delle quali sono state create le mappe sismiche. Io invece mi occupo di studi a breve termine, quelli che indagano su segnali geochimici, geotermici, geomagnetici e che si manifestano pochissimo tempo prima del terremoto. Dai terremoti ci si può salvare in due modi: o vivendo in una costruzione adeguata, magari in muratura e non in cemento, o se c’è qualcuno come me che si occupa di quello che succede poco prima della scossa”.

Una ricerca, sostiene la “sismo-geochimica”, che nel nostro Paese riscuoterebbe poco successo: “Siamo pochissimi in Italia, perché significa controllare moltissime zone sismiche con strumentazione multi-parametrica i cui dati arrivano ogni dieci minuti: consideri che oggi in Italia di queste stazioni, quelle geochimiche, ci sono solo le mie tre che da 20 anni sono installate sull’Etna. Le mie tre stazioni analizzano contemporaneamente 8 parametri ogni dieci minuti, più eventuali emissioni di gas radon ogni ora. Se però le vede, quelle tre stazioni, si mette le mani nei capelli: piene di muffa e ruggine: non hanno più ricevuto i finanziamenti per la manutenzione. E pensare che sono tra le più avanzate nel mondo…”.

Ma quali sarebbero queste “anomalie” che potrebbero indicare, forse, l’arrivo di un terremoto? “La roccia, prima di rompersi in modo definitivo a seguito della scossa per scorrimento tra due blocchi, si microfrattura e siccome contiene quarzo rilascia cariche elettriche. Questo rilascio genera dunque una variazione di campo magnetico. Prima delle due scosse distruttive avvenute a Norcia, nel 2016, per esempio, io avevo osservato una variazione del segnale elettrico di fondo. Accanto a questi segnali ci sono quelli geochimici, ovvero il rilascio di gas quali metano e radon. Anche gli animali sembrano avvertire in anticipo l’arrivo di un terremoto. Capita che i gatti smettano di mangiare, scappino o si rintanino in luoghi appartati, che i cani abbaino molto e cerchino di tirare fuori di casa i padroni, che le tartarughe escano dai laghetti o che i pesci siluro muoiano a migliaia perché il gas che fuoriesce avvelena il laghetto. Lo studio dell’università americana dell’Oregon si occupa dei segnali a brevissimo, cioè di quelli che arrivano 10-15 secondi prima, un lasso di tempo però troppo breve. Io invece lavoro con segnali che possono andare dalle 24 ore prima fino a qualche ora dal sisma, per quanto riguarda i comportamenti animali. Abbiamo distribuito un questionario che le persone possono compilare, per segnalarci se assistono a fenomeni come quelli descritti. Abbiamo creato una rete di cittadini in tutta Italia che ci avvertono in presenza di quei fenomeni, che però non possiamo chiamare precursori: in Italia se li chiami così ti arrestano per procurato allarme: chiamiamoli ‘segnali anomali’”.

Fedora Quattrocchi rincara la dose, sempre ovviamente sulla base di sue valutazioni personali: “In un paese civile dovrebbe accadere che gli enti preposti dedichino a questi studi centinaia di persone, ma questo non accade”. E quando proviamo a chiedere il motivo per cui questo non accadrebbe, a differenza di altri paesi come Taiwan, dopo molte titubanze risponde: “La Protezione civile inizia a lavorare a scossa avvenuta: quando invece c’è un allarme poche ore o pochi minuti prima, bisogna fare tutto un lavoro enorme di evacuazione. L’unico modo allora sarebbe far sapere alla popolazione che esistono questi segnali, e distribuire il mio questionario. Io l’ho fatto ma ho avuto dei problemi, mi è stato fatto capire che l’iniziativa non era gradita…”.

Iene.it ovviamente ha sentito anche Ingv, per permetterle di raccontare la sua visione rispetto alle dichiarazioni della sua dirigente-tecnologa.

A risponderci è lo stesso presidente dell’Ingv, il professor Carlo Doglioni, che spiega: “ Tra le nostre priorità c’è quella di sviluppare una rete di monitoraggio idrogeochimico a livello nazionale. Per la migliore realizzazione di questa rete, l’Ingv ha stipulato una convenzione con l’Ispra e con il coordinamento delle Arpa regionali, al fine di posizionare in pozzi e sorgenti idriche dei rilevatori di potenziali precursori sismici e vulcanici, oltre che monitorare lo stato delle falde acquifere”.

Il Presidente dell’Ingv prosegue così: “Solo una rete capillare a livello nazionale potrà forse un giorno dare delle informazioni utili per le previsioni a breve termine. Al momento abbiamo solo buone indicazioni su futuri risultati possibili, ma non siamo ancora in grado di prevedere i terremoti. Stiamo però investendo molto sullo studio dei precursori, una cosa che però necessita di un lungo processo di raccolta dati, analisi e validazione. Serve anche un approccio multidisciplinare includendo, oltre al settore idrogeochimico, anche studi e monitoraggi sismologici, geodetici, satellitari, emissioni acustiche e elettromagnetiche, elaborazioni statistiche e di intelligenza artificiale: nessuna strada è preclusa. Per la buona ricerca servono preparazione, finanziamenti, una grande squadra e tanta pazienza e noi dell’Ingv abbiamo queste caratteristiche”.

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