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Scarcerato Bommarito: ecco tutti i nostri dubbi sulla sua condanna

Vincenzo Bommarito, sulla base della testimonianza dell’amico Giuseppe, è stato condannato all’ergastolo per il sequestro e la morte di Pietro Licari. Nel 2016 con Matteo Viviani abbiamo ripercorso il caso, mettendo in luce le contraddizioni e i dubbi sulla colpevolezza di Vincenzo. Ora è stato scarcerato: il 14 febbraio si decide sulla revisione del processo

Sono passati 12 anni da quando Vincenzo Bommarito, piccolo imprenditore agricolo di Borgetto (Sicilia), è stato arrestato, portato in carcere e condannato all’ergastolo. Aveva 23 anni e il Tribunale di Palermo lo ha condannato per il sequestro e la morte di Pietro Licari, ricco possidente terriero siciliano. Un caso di cui ci siamo occupati nel 2016 con Matteo Viviani, mettendo in luce le contraddizioni e i dubbi che avvolgono la vicenda. Ora, la Corte d’Appello di Caltanissetta ha fissato l’udienza per decidere se avviare la revisione del processo. Nell’attesa, Bommarito è uscito di prigione.

“Ho iniziato a scoprire elementi che mi hanno portato a chiedere la revisione del processo”, ha detto l’avvocato di Bommarito, Cinzia Pecoraro, alla Iena nell’intervista del 2016. La colpevolezza di Vincenzo, che si è sempre dichiarato innocente, viene decisa dal Tribunale sulla base delle dichiarazioni di un suo amico, Giuseppe Lo Biondo, all’epoca 18enne, anche lui arrestato dopo aver fatto una telefonata in cui chiedeva il riscatto alla famiglia di Licari. Arrestato il 14 febbraio 2007, Giuseppe confessa tutto e indica Vincenzo come suo complice. La sua versione viene ritenuta attendibile e grazie a questo Giuseppe ottiene uno sconto di pena, mentre a Vincenzo viene dato l’ergastolo.

Con Matteo Viviani, nel servizio che vedete qui sotto, abbiamo ripercorso la versione dei fatti data da Giuseppe. Il 13 gennaio 2007 lui e Vincenzo si sarebbero appostati nella casa di campagna di Licari, aspettando il suo arrivo. “Io l’ho preso alle spalle, e il Bommarito mi viene ad aiutare. Lo abbiamo legato e lo abbiamo messo nella sua macchina”, dice nella testimonianza. I due lo avrebbero portato in un pozzetto in mezzo ai campi, dove sarebbe stato chiuso e legato per due settimane, finché non è morto. Secondo la versione di Giuseppe, il 14 gennaio Vincenzo con il telefonino del signor Licari riesce a contattare la famiglia della vittima per chiedere il riscatto. Avrebbe detto: “Signora mi ascolti bene, abbiamo rapito suo marito vogliamo 300mila euro (…) non parli con nessuno se lo vuole rivedere vivo”. Ma la moglie di Licari avverte subito i carabinieri e la sera partono le indagini. Alla terza telefonata per chiedere il riscatto, che Lo Biondo fa da una cabina pubblica, i carabinieri lo arrestano. È il 14 febbraio e Lo Biondo porta i carabinieri al pozzetto dove Licari viene trovato morto e in avanzato stato di putrefazione.

A processo concluso, l’avvocato Cinzia Pecoraro prende in mano il caso e, attraverso nuove prove, mette in crisi i riscontri che secondo le indagini erano stati trovati alle parole e accuse di Giuseppe. Secondo la Procura, uno dei riscontri sarebbero i contatti telefonici tra lui e Vincenzo Bommarito. Secondo i tabulati, infatti, i contatti sono aumentati proprio durante i giorni del sequestro. “Il picco in realtà è avvenuto in concomitanza dei raccolti”, spiega l’avvocato. “Vincenzo produceva ortaggi e quando gli ortaggi dovevano essere raccolti si avvaleva della collaborazione di Lo Biondo”.

Ma c’è un altro elemento essenziale che durante il processo non verrebbe messo in luce. Uno dei riscontri più importanti alle parole di Giuseppe sono i mozziconi di sigaretta trovati presso la casa di Licari con il dna dei due ragazzi. “Vincenzo frequentava quei posti, era stato tante volte in campagna da Licari”, fa notare l’avvocato. “Inoltre non è possibile datare quei mozziconi”.

Dubbi si sollevano anche attorno al movente che avrebbe spinto Vincenzo a compiere il sequestro. Infatti, nella sentenza il giudice parla di una “grave situazione debitoria” di Bommarito nei confronti di Licari. Debito che sembra essere però “solo una rata non pagata di un mutuo per l’acquisto di un trattore”, spiega l’avvocato. “Si tratta di un debito di 2.000 euro”.

Ci sono altri due elementi fondamentali che dovrebbero essere presi in considerazione. Il primo riguarda una telefonata avvenuta la sera del sequestro: sabato 13 gennaio. Lo Biondo dice che quando hanno calato Licari nel pozzetto erano le 20. Ma dai tabulati risulta una chiamata vocale alle 20.06 da Bommarito a Lo Biondo. Se fossero stati insieme a nascondere l’ostaggio perché Vincenzo lo avrebbe dovuto chiamare? Per giustificare l’incongruenza, la Corte ha sostenuto che Giuseppe deve essersi confuso sull’orario: Vincenzo alle 20 era già a farsi la doccia nella sua casa di Borgetto. E quindi avrebbe benissimo potuto chiamare Lo Biondo. Peccato che durante la chiamata il telefono di Vincenzo si aggancia a due diverse celle telefoniche, entrambe molto distanti da Borgetto.

Infine, c’è la lettera che, dopo la sentenza, Lo Biondo dal carcere scrive a Bommarito: “Scusa per quello che ti ho fatto, con tutti quei carabinieri che picchiavano a destra e a sinistra ripetendomi che tu eri il mio complice e che se collaboravo prendevo molti anni di meno. Ho detto all’avvocato che tu non c’entravi niente ma lui mi ha detto che se lo dicevo mi avrebbero dato falsa testimonianza. Spero che un giorno mi perdonerai”.

“La nostra speranza è che venga data una possibilità per avere una giusta valutazione di quello che è successo, affinché venga fatta davvero giustizia”, ha detto la sorella di Vincenzo a Matteo Viviani. Ora, con l’udienza che si terrà il 14 febbraio 2019 davanti alla Corte d’Appello di Caltanissetta, questa possibilità potrebbe arrivare. E noi vi terremo naturalmente aggiornati.

 

Guarda qui sotto il servizio di Matteo Viviani sul sequestro e la morte di Pietro Licari. 

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