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Morto dopo il fermo dei carabinieri: infarto o asfissia? | VIDEO

Vincenzo Sapia, un ragazzo con problemi psichiatrici, è morto 5 anni fa dopo un fermo dei carabinieri. Oggi la famiglia aspetta ancora di sapere la verità. Alessandro Politi ha indagato su questo caso

Vincenzo Sapia ha perso la vita durante un fermo dei carabinieri, a Mirto Crosia, in Calabria. Dopo cinque anni, la famiglia attende ancora la verità su quello che è successo quel 24 maggio 2014.

Vincenzo era un ragazzone di 29 anni che da diverso tempo soffriva di una malattia mentale che gli provocava allucinazione e depressione. Però, come dice la mamma Isabella, “non ha mai fatto male a nessuno, anche in famiglia non era mai violento”.

Il pomeriggio della morte, Vincenzo è uscito di casa dicendo alla madre che un signore gli aveva promesso un cagnolino. Data la malattia, non si sa se è vero, la cosa certa è che si è avviato verso un palazzo poco distante da casa sua. Suona al citofono ma nessuno gli apre, lui si innervosisce e comincia a tirare calci alla porta. Gli abitanti del palazzo chiamano i carabinieri.

I militari gli chiedono i documenti, richiesta strana perché tutti in quel piccolo paesino conoscono Vincenzo e i suoi problemi. Lui i documenti non ce li ha e per dimostrarlo si spoglia e resta in mutande. “I carabinieri invece di chiedere un Tso chiamano i rinforzi”, racconta la sorella.

I carabinieri ora sono tre, uno di loro lo chiama per nome, Vincenzo prova a scappare mezzo nudo verso casa ma viene fermato dallo sgambetto di uno di loro. Vincenzo è a terra e i carabinieri tentano di ammanettarlo tenendolo a pancia in giù contro il suolo. Pochi minuti più tardi muore.

La madre avvertita dal genero esce di casa e corre verso suo figlio. Ha con sé le gocce per calmarlo, ma quando arriva lui è già morto. Secondo la prima autopsia Vincenzo sarebbe morto d’infarto per un’alterazione dell’attività elettrice cardiaca di difficile interpretazione, quindi di cause naturali. “Lui è morto nelle mani loro, non può essere una morte per cause naturali”, dice la sorella.

L’avvocato della famiglia è Fabio Anselmo, che negli ultimi anni si è specializzato in casi di abusi delle forze dell’ordine, dal caso Cucchi, a Magherini fino a Giuseppe Uva. “Se quel giorno non avesse incontrato le forze dell’ordine oggi non staremmo parlando di lui”, dice l’avvocato ad Alessandro Politi. 

Politi ha citofonato agli inquilini di quel palazzo da cui si vede perfettamente la porzione di strada dove è morto Sapia per chiedere cosa hanno visto quel giorno. Nessuno però vuole parlare: “Non ho visto niente”, “quel giorno non ero in casa”, “non so nulla e anche se sapevo non dicevo niente”. Solo un uomo è disposto a parlare e ci racconta come sono andate le cose: “L’ha preso con la mano, l’ha girato e l’ha messo a terra, tipo karate. Nemmeno nei film ho mai visto qualcosa del genere”.

Per ottenere qualche risposta in più chiediamo aiuto a Isabella, la mamma di Vincenzo, che con le nostre microcamere va a chiedere spiegazioni a tutti i protagonisti di questa storia.

Cominciamo con il dottor Caruso, il medico che ha eseguito la prima e fondamentale autopsia sul corpo di Vincenzo, attribuendo la morte a un problema cardiaco ed escludendo l’asfissia, ipotizzata invece da un altro medico legale: “Con l’obesità poteva succedere. È morto per lo sforzo e non è riconducibile ad altre cause”. Il medico dice anche che “non ci sono i segni per parlare di asfissia”. Il medico legale Emanuela Turillazzi dice una cosa diversa parlando di “cianosi delle unghie, cianosi del volto, colorazione bluastra, presenza di petecchia e di schiuma: è morto per un’asfissia da posizione”.

Isabella si fa coraggio e con le nostre microcamere va anche dai carabinieri. Due non si fanno trovare, il terzo invece la incontra nell’androne di casa, ma dice solo due cose: “non è stata colpa nostra” e “non posso parlare”.

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