Assistenti vocali e privacy: siamo certi di essere al sicuro? | VIDEO
L’app Immuni è ormai pronta e in molti si sono chiesti: è giusto rinunciare a parte della nostra privacy per rispondere più efficacemente a un eventuale ritorno della pandemia? Una domanda che è nata ben prima del coronavirus: Nicolò De Devitiis ci parla della nostra privacy al tempo degli assistenti vocali nelle nostre case
Finalmente stiamo andando verso la normalità, pur con qualche precauzione. Per esempio c’è l’app Immuni, che serve a tracciare i potenziali positivi al coronavirus per poterli isolare. Come? Sfruttando la tecnologia del cellulare, come ci spiega Nicolò De Devitiis nel servizio che potete vedere qui sopra. Per farlo l’app raccoglie alcune nostre informazioni e qui nasce la polemica: è giusto rinunciare a parte della nostra privacy per rispondere più efficacemente a un eventuale ritorno della pandemia? Si è discusso molto a riguardo, ma quello che è certo è che tecnologia e privacy non vanno tanto d’accordo. Sì, perché questi dubbi sono sorti ben prima dell’arrivo del coronavirus e dell’app Immuni.
Prima della pandemia, il nostro Nicolò De Devitiis è andato a casa di un amico che ha l’intera abitazione controllata dai dispositivi tecnologici. Sono tantissime le cose che è possibile fare con un assistente vocale, come potete vedere nel servizio qui sopra. In gergo si chiama “ambient computing”, come ci spiega l’imprenditore digitale Marco Montemango, dal trovare un ristorante a scoprire una nuova ricetta. Ma anche farsi aiutare mentre si cucina o a fare la spesa, con un dettaglio che sembra tale ma non lo è: se hai per esempio Alexa in casa, l’ordine lo fai su Amazon.
“Quando tu fai una ricerca col tuo assistente vocale magari non passa più da Google ma da un concorrente”, ci spiega Montemagno. “E questo cambia radicalmente il mercato della ricerca, per cui tutti cercano di prendere posizione: è come un velo tra noi e la nostra realtà”. È davvero così? Per capirlo il nostro Nicolò De Devitiis fa un esperimento, cercando il migliore paio di cuffie tramite Alexa: questa suggerisce la migliore soluzione su Amazon. Che probabilmente sceglie quelle con le recensioni migliori ma anche quelle su cui guadagna di più. Siri invece ti porta sul negozio di Apple. Insomma le grandi aziende se usi il loro assistente vocale ti portano nel loro negozio e ti suggeriscono quello che a loro conviene. Quando anziché un telefono si utilizzerà sempre l’assistente vocale per fare una ricerca, questa sarà filtrata dall’azienda: se cerchi su Siri vai su Apple, se cerchi con Alexa su Amazon, se cerchi con Google Home su Google. E questo può spostare capitali enormi.
“Sparisce il concetto di ricerca e inizia quello di una conversazione continua con questi motori di ricerca”, spiega Montemagno. “Oppure ti anticipano loro i risultati, per esempio con il traffico”. Se hai un appuntamento insomma l’assistente ti sa, per esempio, consigliare a che ora muoverti e che zone evitare. E la nostra privacy? Quando vi abbiamo parlato di come funzionano i motori di ricerca, vi abbiamo fatto vedere come Google a esempio conservi sui suoi server tutto quello che facciamo. Tra cui anche audio a nostra insaputa. “Pochi giorni fa è stato dichiarato anche dalle aziende che producono assistenti vocali che facevano ascoltare le conversazioni private della gente per migliorare la risposta”, ci dice Jean Claude Ghinozzi, presidente e direttore generale Francia di Qwant. “Poi quando hanno i dati ne possono fare quello che vogliono”.
“Il concetto di privacy così sparisce per sempre”, ci dice ancora Montemagno. “E questo è un grande problema”. E l’amico con cui abbiamo fatto il test ci dice che “le pubblicità che ti appaiono su Facebook e Instagram appaiono in base a quello che tu hai detto durante la giornata. Mi è capitato più volte di essere a tavola con amici a parlare e che mi siano apparsi proprio gli argomenti di cui stavamo parlando”. Insomma, se fosse vero quando si parla in casa l’assistente vocale registrerebbe quello che si dice e poi apparirebbe la pubblicità corrispondente.
“L’hacker cattivo di turno ha il dettaglio della nostra attività, della nostra routine”, ci dice Montemango. “Può anche sapere quando siamo in casa”. Insomma, questi strumenti possono essere utili ma potenzialmente anche pericolosi. Quindi è fondamentale fare molta attenzione. Tutto questo comunque non riguarda l’app Immuni, che sta partendo in via sperimentale in alcune regioni italiane. Per sapere come funziona, guardate il servizio di Nicolò De Devitiis all’inizio di questo articolo.