Quattro giovani e un caffè letterario: "Chiude la socialità e chiudiamo anche noi" | VIDEO
Leonardo Caffo, filosofo e socio di Walden, caffè letterario a Milano, è costretto a chiudere: "Il governo deve accompagnarci nella riconversione, a bocce ferme falliamo"
"Per noi il distanziamento sociale è impossibile. Ma come fai in posto che nasce per riunire la gente?". Leonardo Caffo è filosofo, ma anche uno dei quattro soci di Walden, caffè letterario alle porte di corso di Porta ticinese a Milano, nominato fra i migliori tre in Italia da Vanity Fair. Con l'emergenza coronavirus, però, è costretto a fare i conti con la nuova realtà, come spiega a Giulia Innocenzi. "Siamo costretti a chiudere. Le misure del governo ci possono far stare a galla per qualche mese, ma con il cambio della socialità, se non ci saranno aiuti concreti per cambiare anche la natura delle imprese, noi piccoli siamo destinati a morire".
Avete deciso di chiudere. Davvero non c'è alternativa?
"I caffè letterari sono degli strani ibridi, perché sono cinema, teatro, presentazioni di libro, sono convivialità. E oggi pagano lo scotto dei fallimenti di tutte queste imprese messe insieme".
Il governo ha varato delle misure economiche per aiutare anche i piccoli imprenditori come voi. I soldi stanziati non vi bastano?
"Il governo ha stanziato 25.000 euro a garanzia statale, che vuol dire che anche se fallissimo lo stato si sobbarca il debito. Innanzitutto è un prestito, non sono a fondo perduto, quindi questi soldi li dovremo ridare. E poi non ci permettono di pagare i debiti che abbiamo accumulato in questo mese e mezzo di chiusura. I fornitori, le librerie che aspettano i resi dei libri, i vecchi conti coi dipendenti. Le imprese come le nostre pagano con l'incasso del mese quello precedente. Noi l'abbiamo fondata due anni fa ed eravamo tutti under 30, stavamo ingranando".
I caffè letterari sono tutti più o meno nella vostra situazione?
"Purtroppo sì, ed è un peccato, perché offrivamo dei servizi a titolo gratuito, come spettacoli, mostre e presentazioni di libri. I 25.000 euro servono solo a pagare qualche buco".
Non vi bastano neanche per ripagare i vostri debiti?
"Esatto, e oltretutto non sono ancora stati stanziati. Potremo chiederli dalla prossima settimana, poi vedremo quando arriveranno. Al mese di spese ci partono circa 20.000 euro. Abbiamo anche attivato un programma sociale per cui lavorano da noi dei rifugiati pagati dallo stato, che non sappiamo che fine faranno. Lo stato non ha mai detto: 'se fallite per il coronavirus vi aiutiamo'. È questo il vero tema".
Il problema è che i costi saranno quelli di prima, ma la socialità invece è stravolta, con conseguenze sugli incassi.
"Ancora di più a Milano, che paga lo scotto dell'onnipotenza in cui ha vissuto negli ultimi due anni. La superficie calpestabile del nostro locale, su cui poi si valutano gli incassi, è di 50 metri quadri. Praticamente una stanza. Con 28 coperti se li distanziamo a un metro e mezzo ce ne restano circa 10, quasi un terzo. E la gente non si fermerà a leggere o a studiare, non parteciperà a presentazioni di libri. Quindi o mi aiuti a riconvertire l'impresa, magari prendendo un posto più grande per rispettare le distanze, oppure mi stai facendo riaprire per farmi fallire. Penso che un terzo delle imprese simili a Walden sarà destinato a fallire, perché basati sulla socialità, e purtroppo saranno tantissimi i dipendenti che saranno lasciati a casa".
Tu sei anche un filosofo e hai scritto un saggio dal titolo "Dopo il Covid-19". Che ne sarà della nostra socialità e delle nostre vite?
"Se diminuiamo l'arroganza, visto che il virus ci ha insegnato che basta una molecola per cambiare tutto, potremmo pensare a nuovi progetti che aiutino la collettività. Perché, per esempio, il comune di Milano non dà alcune delle sue cascine in gestione ai caffè letterari? Se scompaiono i luoghi su cui si basa la socialità di Milano, è la città stessa che è destinata a scomparire".
Il rischio è che il "piccolo" sia destinato a chiudere, come botteghe, trattorie o caffè come il vostro, mentre grandi catene o multinazionali la faranno da padrone.
"Come sempre in queste crisi, chi è ricco diventa più ricco e chi è povero diventa più povero. Gli indipendenti, davanti a una crisi del genere, rischiano di morire. Nessuna piccola impresa può resistere un anno senza attività".
Se avessi davanti il premier Conte e gli potessi chiedere una misura per non fallire, quale sarebbe?
"Diversificare, non trattare tutti allo stesso modo. Il problema di questi grandi decreti è che ci trattano tutti uguali. Noi siamo un'impresa sociale: se non c'è più il sociale, non c'è neanche più l'impresa".
Voi quattro soci siete appena trentenni. Tanti vostri coetanei hanno da poco ingranato la carriera, cominciato a guadagnare. Per molti ci sarà uno stop, e il rischio, per una generazione già con tante difficoltà, è di tornare al punto di partenza.
"Se la situazione di oggi si fosse presentata un anno e mezzo fa, quella che ora è una tragedia sarebbe stata un'immensa tragedia. Chi ha avviato delle imprese, come piccole librerie, gallerie d'arte o caffè, si troverà per un lungo periodo di tempo con l'attività congelata. Non vorremo più avere a che fare con gli estranei per un bel po', ed è ciò su cui si basano questi luoghi. Li facciamo fallire tutti? Sarebbe meglio accompagnarli in questo nuovo mondo. Anche di questo si deve occupare la commissione incaricata dal governo sulla fase 2: cosa accade all'economia quando cambia il modello sociale, non solo quando entra in crisi. Alle imprese culturali bisogna dare un contributo a fondo perduto che sia di supporto alla cultura, che altrimenti rischiamo di perdere".
Ecco qui sotto alcune foto del caffè letterario Walden.