Coronavirus, la denuncia di un lavoratore: “Un collega è morto e l'azienda non ci tutela”
Iene.it raccoglie la testimonianza del dipendente di uno stabilimento napoletano, in cui lavorano oltre 1000 persone. “L’azienda non ha fatto nulla dopo che si è saputo che il nostro collega, un uomo di 48 anni, era positivo al Covid-19. Continuiamo a lavorare, ma abbiamo tanta paura”
“Abbiamo saputo, da familiari e amici, che un nostro collega di 48 anni è morto di Covid-19, ma l’azienda non ha fermato la produzione e Ats non ha attuato misure di tutela appena saputo della sua positività”. A parlare è un lavoratore della Seda Italy di Arzano, nel napoletano, azienda che impiega un migliaio di persone e che si occupa di packaging per alimenti.
Il lavoratore chiede di mantenere l’anonimato perché ha paura delle possibili ripercussioni da parte dell’azienda. “Il nostro collega, che faceva il manutentore elettrico in tutti i reparti, ha lavorato con noi fino al 16 marzo”, racconta. “Poi si è ammalato e fino al 21 è stato a casa in malattia. Dal 21 non abbiamo più saputo nulla, per poi scoprire che era stato ricoverato in isolamento a Napoli, dove, credo attorno al 24, ha scoperto di essere stato contagiato. Poi è arrivata, da familiari e amici, la tremenda notizia della sua morte, il 30 marzo”.
“Noi che lavoriamo nella linea produttiva siamo abbastanza distanti l’uno dall’altro ma lui, da manutentore, girava ovunque, a contatto con persone di tutti i reparti. L’azienda dice che non ne sapeva nulla, ma qualcosa non mi quadra. L’Ats, appena saputo della sua morte, ha messo in quarantena l’intero stabile in cui abitava e non contatta l’azienda e questa non prende ulteriori misure?”.
A sollevare la questione nei giorni scorsi è stato il sindacato Cgil, che in una lettera del 30 marzo si chiedeva come mai l’azienda, almeno a partire dalla data della positività del collega, non avesse attivato il protocollo di sicurezza Covid-19. “Chiediamo di verificare il motivo per il quale dal giorno di accertamento del contagio del dipendente non sia stata messa in atto la consueta procedura prevista dai vari DPCM e dal protocollo di intesa del 14 marzo 2020, ovvero a oggi non sia ancora pervenuta alcuna comunicazione ufficiale del datore di lavoro, circa le misure da intraprendere a tutela della salute dell’intera maestranza”.
“Quello che l’azienda ha fatto”, prosegue il lavoratore della Seda, "è stato, dopo un articolo uscito sul Mattino, fermarsi per due turni e sanificare gli ambienti, dalle 20 di lunedì 30 marzo alle 14 di martedì. Lo ha fatto dopo quel comunicato della Cgil, che minacciava lo sciopero. Ora siamo tornati regolarmente a lavorare. L’azienda poi ha dichiarato alla stampa di aver distribuito mascherine a partire dal 24 febbraio. Invece ho la prova che le mascherine FFP3 siano state distribuite dopo il 10-11 marzo, dopo la pressione di moltissimi lavoratori che si rifiutavano di lavorare senza mascherina. Forse il 24 febbraio sono state date alcune mascherine solo a quelli che si dovevano spostare da un reparto all’altro, come i carrellisti, e basta. Poi le FFP3 sono mascherine che hanno una validità media di 8 ore, mentre c’è chi è stato costretto a usarle anche per 10-11 giorni di fila. Al momento in azienda ci sono 3-4 persone che risultano malate, ma non sappiamo se abbiano o meno contratto il Covid-19. Continuiamo a lavorare e abbiamo tutti una gran paura”.
L’azienda, dal canto suo, ha risposto sulla stampa locale, spiegando che “sin dal 24 febbraio sono state attuate tutte le più rigorose misure di prevenzione e protezione, tra cui utilizzo di mascherine, diffusione di gel sanificante, contingentamento delle aree comuni e sanificazione degli ambienti produttivi”.
E sul dibattito se fermare o meno la produzione ha aggiunto: “Abbiamo continuato a produrre perché la nostra missione è di far parte di quella filiera alimentare che non è solo essenziale perché così la definisce il governo, ma lo è perché, ancor di più in un momento di restrizioni alle nostre libertà, garantisce, tramite i suoi imballaggi, la conservazione degli alimenti e la possibilità di trasportarli”.
Infine, ha annunciato di voler chiedere la cassa integrazione, dal 14 aprile, per ridurre l'orario di lavoro ed evitare gli assembramenti.