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Coronavirus e la Iena ancora positiva dopo 30 giorni: “Non è un caso isolato” | VIDEO

Dopo il video del nostro Alessandro Politi, in cui la Iena racconta la sua storia e solleva alcune domande sulla gestione dell’emergenza, noi di Iene.it abbiamo parlato di questo con il professor Bassetti: “Non è un caso isolato, ma fare tamponi a tutti non è possibile: l’unico strumento è il distanziamento sociale”

Non è un caso isolato”. La nostra Iena Alessandro Politi è ancora positivo dopo 30 giorni, anche se i sintomi si sono per fortuna risolti quasi subito. E questo ci fa porre una domanda: quante persone con la sua stessa sintomatologia non hanno ricevuto il tampone, e dopo due settimane di isolamento potrebbero essere uscite pur essendo ancora contagiose? Per capire qualcosa di più Iene.it ha parlato con il professor Matteo Bassetti, il direttore della clinica di malattie infettive di Genova. 

“E’ importante intanto distinguere due cose: un conto è il tempo di incubazione, che può arrivare al massimo a 14 giorni. Su questo dato si era detto inizialmente che la quarantena dovesse durare 14 giorni”, ci spiega il professor Bassetti. “Per quanto riguarda l’evoluzione della malattia, abbiamo scoperto come sia ampiamente variabile: c’è chi ha pochissimi sintomi, tanto che nemmeno si accorge di esser stato malato, e chi invece sviluppa sintomi seri fino alla polmonite che richiede il ricovero. La sintomatologia è così variabile che è difficile tracciare tutti i malati”.

Per quanto tempo quindi una persona, magari poco sintomatica, resta positiva? “E’ molto variabile, ma oggi al San Martino noi controlliamo il tampone al 21° giorno: la maggioranza dei casi non si risolve entro i 14 giorni. C’è comunque una percentuale di soggetti che continua a essere positivo in assenza di sintomi anche dopo tre settimane”, ci dice Bassetti. “Bisognerà capire perché il tempo di guarigione può variare molto, oggi non è ancora certo: è possibile che questo dipenda dalla capacità del sistema immunitario di debellare il virus più o meno in fretta”. E questa idea è condivisa anche dal professor Galli del Sacco di Milano: “Ci sono diversi casi e vanno approfonditi”, ha detto al Corriere della sera commentando proprio le condizioni della Iena. “Sarà importante soprattutto per le regole da stabilire in vista della ripartenza”.

E di questo ne parliamo anche con il professor Bassetti, ma prima c’è un punto centrale sollevato dal nostro Alessandro Politi: quante persone potrebbero essere nelle sue condizioni ma non aver ricevuto il tampone, e dunque libere di uscire dopo due settimane anche se magari ancora positive al coronavirus? “Ce ne potrebbero essere, però se noi rispettiamo il distanziamento sociale questo rischio si annulla. Se esco di casa quando sono ancora infettivo, ma non mi avvicino, non posso verosimilmente contagiarti. Su questo il protocollo Oms è chiaro: bisogna mantenere sempre il distanziamento sociale finché non ci sono zero casi di trasmissione”. 

“Se l’indicazione di rimanere a casa in isolamento per 15 giorni dopo la fine della malattia fosse insufficiente”, ci spiega ancora Bassetti, “la riserva è rappresentata dal distanziamento sociale che è stato imposto. C’erano una serie di misure paracadute per contenere l’eventuale insufficienza del periodo di isolamento”. C’è però una cosa che il professore chiarisce: “E’ difficilissimo gestire una pandemia di una malattia sconosciuta. L’unico caso prima di noi era la Cina, da cui le informazioni sono arrivate in modo solo parziale. Uno dei limiti avuti nel gestire la situazione è stato proprio questo: le informazioni arrivavano dall’altra parte del globo con sistemi diversi. Oggi lo conosciamo in prima persona”.

E il dubbio che le due settimane di quarantena possano essere troppo poche è stato espresso anche dal professor Francesco Broccolo dell'università Bicocca, che a Live non è la d’Urso ha detto: “Ci sono altri casi documentati in letteratura di persone positive anche dopo 30 giorni, e forse le due settimane potrebbero essere un po’ strette”.

L’unico strumento sicuro a disposizione per prevenire il contagio, dunque, è rispettare le limitazioni imposte dalle autorità. “E’ per questa ragione che esiste il distanziamento sociale: non è possibile riconoscere tutti i malati, quindi bisogna proteggersi”. E qui si inserisce un altro punto fondamentale, cioè la difficoltà nel ricevere un tampone: “Sarebbe bellissimo fare i tamponi a tutti, ma non è realistico. Non ci sono le risorse, i reagenti, i laboratori sufficienti per testare la popolazione. In più il tampone ha un problema: ha un 30% di falsi negativi. Quindi nemmeno farli a tutti risolverebbe il problema: l’unico strumento che abbiamo, in assenza di un farmaco specifico, è il distanziamento sociale”.

Tra gli strumenti per proteggersi c’è anche la mascherina: “E’ utile ma va usata con criterio”, ci dice il professor Bassetti. “Dove non è possibile mantenere il distanziamento sociale, per esempio in metropolitana, è utile. Ma non basta imporre l’obbligo di indossarla: intanto è difficilissimo reperire mascherine per tutti. Va cambiata spesso, ne servirebbero in quantità enormi. E poi c’è il rischio che passi un messaggio sbagliato, e cioè che ci si senta protetti e non si rispetti più l’isolamento. Questo non deve succedere”.

E questo è vero ancora di più in questo momento, quando la ‘fase 2’, cioè la graduale riapertura, si avvicina. “Il fatto che ci siano persone ancora positive dopo 30 giorni ci deve insegnare che alcune misure dovranno essere prolungate”, ci spiega Bassetti. “Sicuramente sarà importante proteggere la parte più debole della popolazione: anziani e immunodepressi. La riapertura dovrà essere molto graduale e con un occhio di riguardo per loro”. Una cosa però Bassetti la vuole chiarire: “Non voglio fare nessuna polemica. Tutti i medici e il personale sanitario sono uniti come non mai in questa lotta contro il coronavirus. Chi ha indovinato o sbagliato previsioni lo ha fatto in buona fede e con l’unico obiettivo di dare un contributo utile”.

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