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Coronavirus e morti, perché in Italia sono così tanti? | I DATI

L’Italia è il terzo paese al mondo per tasso di fatalità del coronavirus, e il primo in Europa. E siamo sesti per numero assoluto di vittime, con il solo Regno Unito tra i paesi vicini a contarne di più. Com’è possibile? Età della popolazione, inquinamento dell’ambiente e scarsa capacità di testare sono tre possibili spiegazioni a questi dati

636 morti, esattamente come il 6 aprile quando l’Italia era a metà del lockdown di primavera. Non accenna purtroppo a rallentare la corsa del contatore delle vittime del coronavirus nel nostro Paese, che ha già raggiunto la terribile cifra di 43.589 morti da inizio pandemia.

L’Italia è uno dei paesi al mondo che sta registrando più vittime a causa del coronavirus: siamo in sesta posizione in questa triste classifica globale, preceduti solamente dagli Stati Uniti, dal Brasile, dall’India, dal Messico e dal Regno Unito. Paesi che però, a eccezione del Regno Unito, hanno una popolazione molto più grande dell’Italia.

E anche il nostro il tasso di letalità è tra i peggiori al mondo: il 4,2% delle persone che contraggono il coronavirus muoiono. Peggio di noi solo il Messico, con un mortalità del 9,8%, e l’Iran con il 5,5%. Perfino il Regno Unito, che conta più vittime di noi (a oggi sono 50.457), registra una letalità del 4,0%, leggermente inferiore alla nostra.

Purtroppo, come abbiamo detto, il contatore delle vittime in Italia è tornato a crescere come la scorsa primavera: appena un mese fa, il 13 ottobre, i morti sono stati 41. Due settimane fa, il 30 ottobre, sono stati 199. Ieri sono stati 636. Nemmeno i paesi europei che registrano più casi totali di noi hanno registrato ieri un numero così alto di vittime: in Spagna sono state 356, in Francia 425, nel Regno Unito 563.

Com’è possibile che l’Italia, che già nella prima ondata registrava numeri superiori agli altri paesi europei, conti così tanti morti con il coronavirus? La risposta è complessa, e probabilmente non tutte le variabili sono già note. Però alcune sì, e possono aiutare a dare un quadro più preciso.

In primo luogo, potrebbe influire l’età della popolazione: l’Italia è infatti il secondo paese più “vecchio” al mondo, dove gli abitanti con più di 80 anni sono ben il 7,5% del totale. Solo il Giappone ha un numero più alto, con il 9% della popolazione over 80. Stringendo lo sguardo alla sola Europa, Francia e Regno Unito sono i paesi a noi più vicini in questa graduatoria, con il 6 e il 5,5% rispettivamente. E, forse non a caso, Regno Unito e Francia sono i paesi europei che hanno avuto più vittime insieme a noi.

Sappiamo ormai che il coronavirus tende a colpire in maniera più grave le persone anziane e con problemi di salute pregressi (sebbene sia utile ricordare che i rischi sono alti per tutte le fasce della popolazione). E l’Italia è il paese in Europa con già abitanti anziani: il 22,6% delle popolazione ha più di 65 anni. E siamo anche il paese con la mortalità più alta in caso di infezione. Sebbene non sia ancora stata dimostrata una correlazione diretta tra questi due dati, è più che plausibile che vi sia un nesso.

Un nesso che però non spiega totalmente il numero così alto delle vittime: il secondo e terzo paese in Europa per anziani sono Grecia e Portogallo, che nemmeno lontanamente si avvicinano al nostro numero di vittime ogni 100mila abitanti. E allora serve aggiungere un altro elemento, di cui abbiamo già ampiamente discusso: l’inquinamento.

Sono ormai svariati gli studi che mettono in relazione un alto tasso di inquinamento dell’aria con sintomi più gravi del coronavirus, e secondo le ricerche della Società italiana di medicina ambientale il particolato atmosferico può contribuire a rendere più facili le infezioni trasportando il virus più lontano del normale droplet. E sappiamo anche che la pianura padana è la regione geografica più inquinata d’Europa.

Anche in questo caso, il dato si riflette sulla mortalità del coronavirus: se l’Italia registra il 4,2% di tasso di letalità, la Lombardia raggiunge il 6,4%. E’ la regione più inquinata e quella in cui più ammalati muoiono. Subito dietro si posiziona l’Emilia Romagna, con una letalità del 6,1%. E anche il Piemonte registra un dato leggermente più alto della media nazionale, con il 4,3%. In questa particolare classifica della letalità regionale, spicca anche il dato della Liguria, che raggiunge il 5%. Sebbene non sia in pianura padana, è nettamente la regione più anziana d’Italia: oltre il 12% dei residenti ha un’età superiore agli 80 anni.

Insomma, età avanzata della popolazione e inquinamento sono due possibili chiavi di lettura per capire perché l’Italia continui a registrare così tanti morti con il coronavirus anche nella seconda ondata. In questi giorni però c’è chi ne sta suggerendo anche una terza: il rapporto tra casi e vittime è così alto anche perché non riusciamo di nuovo più a tracciare i casi di coronavirus.

E a guardare i dati dei tamponi, la spiegazione potrebbe avere un fondamento: nelle ultime due settimane infatti il numero di persone testate è rimasto essenzialmente stabile tra le 120 e le 130mila nei giorni feriali, ma in quindici giorni il rapporto tra persone testate e positivi è salito dal 23,96 al 28,45%. E questo potrebbe indicare che i casi continuano ad aumentare mentre la nostra capacità di tracciarli e testarli è quasi arrivata al livello di saturazione. 

Se questo fosse confermato, saremmo in grado di scovare sempre più solo i casi più seri tra i contagiati - quelli che presentano una sintomatologia importante - e questo inevitabilmente fa salire il tasso di letalità, perché dalla statistica resterebbero esclusi i positivi asintomatici o paucisintomatici che non tracciamo più.

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