> External link Facebook Facebook Messenger Full Screen Google+ Instagram LinkedIn News mostra di più Twitter WhatsApp Close
News |

Coronavirus, ha colpito di più in Pianura padana perché è la zona più inquinata d'Italia | VIDEO

Lo studio della Società italiana di medicina ambientale sul collegamento tra inquinamento e coronavirus, di cui noi vi abbiamo parlato già a marzo, è stato pubblicato sul British Medical Journal confermando le evidenze iniziali: le polveri sottili presenti nell’aria hanno “aperto un’autostrada al coronavirus”. Per prevenire una seconda ondata bisognerebbe usare la “mascherina anche all’esterno dove non fossero assicurate distanze di almeno 6-8 metri”

Il Covid in Italia ha colpito di più in Pianura padana perché è la zona più inquinata d’Italia, e le polveri sottili hanno “aperto un’autostrada al coronavirus”. E per evitare che quanto successo in primavera si ripeta nelle aree del paese molto inquinate sarebbe utile “l’uso della mascherina anche all’esterno dove non fossero assicurate distanze di almeno 6-8 metri”. Quella che prima era solo una coincidenza adesso ha un nesso evidente, e la prova è nella pubblicazione dello studio della Società italiana di medicina ambientale sulla correlazione tra l’inquinamento e la diffusione del coronavirus in Pianura padana.

A marzo noi di Iene.it con Giulia Innocenzi abbiamo intervistato il professor Alessandro Miani, presidente della Sima, che ci aveva parlato proprio dello studio condotto insieme all’università di Bologna, di Bari e di Trieste: “L’inquinamento nell’aria potrebbe velocizzare la diffusione del coronavirus“, ci aveva spiegato.

Oggi quello studio è stato pubblicato sul British Medical Journal, confermando le evidenze che erano già emerse nelle prime fasi: “Abbiamo ottenuto la prova dell’interazione tra particolato atmosferico e virus quando siamo riusciti a isolare tracce di RNA virale in campioni provenienti dai filtri di raccolta del particolato atmosferico prelevati nella provincia di Bergamo a fine febbraio”, ha spiegato il professor Leonardo Setti, docente di Biochimica Industriale all’Alma Mater di Bologna e membro del comitato scientifico SIMA.

E lo studio della Sima ha analizzato proprio le centraline che registrano il livello di inquinamento dell’aria, partendo dall’evidenza che “su un totale di 41 Province del Nord Italia, ben 39 si collocavano nella categoria di massima frequenza di sforamenti” dei limiti imposti di particolato nell’aria. “Mentre 62 Province meridionali su 66 si situavano ai livelli più bassi di inquinamento atmosferico”, spiega il professor Prisco Piscitelli, epidemiologo e vicepresidente SIMA. “Complessivamente gli sforamenti si rivelavano un significativo fattore predittivo di infezione da Covid, potendo spiegare la diversa velocità di propagazione del virus nelle 110 Province italiane”.

”La Pianura padana in inverno è assimilabile ad un ambiente indoor con il soffitto di qualche decina di metri, dove in presenza di una grande circolazione virale le condizioni di stabilità atmosferica, il tasso di umidità e la scarsa ventilazione hanno di fatto aperto al coronavirus delle vere e proprie autostrade”, ha aggiunto Gianluigi De Gennaro, professore di Chimica dell’Ambiente all’Università di Bari.

Un allarme che era già stato lanciato a marzo, quando “ci siamo sentiti in dovere di avvertire i decisori politici, nel pieno dell’emergenza COVID, che la distanza di sicurezza di un metro non fosse sufficiente a garantire la sicurezza”, spiega il professor Miani. “Era necessario obbligare all’uso della mascherina tutti i cittadini in ogni luogo aperto al pubblico in un momento in cui si stava ancora discutendo dell’efficacia dei dispositivi di protezione individuale”, aggiunge. Una specificazione oggi ancora più importante di prima.

Lo studio insomma evidenzia “una significativa associazione tra le aree più inquinate e l’iniziale diffusione del coronavirus nelle 110 provincie Italiane”. Una scoperta importante, perché l’analisi delle centraline potrebbe aiutare a prevedere la nascita di nuovi focolai di coronavirus: “Per le amministrazioni pubbliche sarebbe auspicabile che facessero monitorare l’andamento delle polveri e verificare periodicamente la presenza di virus sulle stesse, al fine di anticipare e scongiurare nuovi fenomeni di superdiffusione come quelli verificatisi nel nord Italia con decine migliaia di morti”, spiega ancora il professor Miani.

Quali misure si potrebbero prendere quindi per prevenire una seconda ondata in Pianura padana? I consigli della Sima sono chiari: “Blocco del traffico, limitazione dell’uso delle caldaie e l’uso della mascherina anche all’esterno dove non fossero assicurate distanze di almeno 6-8 metri”.

Ultime News

Vedi tutte