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Coronavirus, perché l'Italia spende (finora) meno degli altri per aiutare i cittadini?

A oggi sono una ventina i miliardi messi sul piatto dal governo, che però si appresta a varare un nuovo sostanzioso decreto: Germania, Francia, Regno Unito e Spagna per adesso hanno fatto di più. Ma ci sono valide spiegazioni, dal nostro debito pubblico altissimo al braccio di ferro con l’Europa

Venti miliardi a marzo, e ulteriori 4,3 miliardi di risorse anticipate ai comuni. In più, 400 milioni bonus per realizzare buoni spesa per le persone in difficoltà. Ammontano a tanto le risorse finora messe in campo dal governo italiano per far fronte all’emergenza economica causata dal coronavirus. Di questo denaro, però, solo i primi venti miliardi sono nuove risorse immesse nell’economia per contrastare la prevedibile recessione che sta per abbattersi su di noi: finora abbiamo investito solo un cifra corrispondente all'1,1% del prodotto interno lordo.

Saranno abbastanza? No. Lo stesso governo ne è consapevole e ha già annunciato un nuovo decreto ad aprile per dare nuovo ossigeno alla nostra economia. Secondo le prime indiscrezioni la nuova manovra dovrebbe valere intorno ai 35 miliardi di euro divisi in due provvedimenti distinti: un primo a sostegno delle imprese in difficoltà e un secondo per estendere e ampliare le misure a sostegno del reddito dei cittadini.

Confindustria ha infatti stimato che nel 2020 il nostro Pil crollerà del 6% e il rapporto deficit/pil schizzerà almeno al 5% portandoci pericolosamente vicino al 150% nel rapporto debito/pil. Ammesso che l’emergenza sanitaria termini a maggio: se invece si protrarrà più a lungo gli effetti sulla nostra economia saranno ancora più devastanti. Non solo da noi ma in tutto il mondo. E finora, in attesa delle nuove misure di aprile, l’Italia è purtroppo il Paese che fra i più industrializzati ha messo sul piatto meno soldi, come mostrano i dati raccolti dall’osservatorio di Carlo Cottarelli. Ma perché siamo ultimi in questa graduatoria, e soprattutto per quale ragione l’Europa continua a tergiversare?

Andiamo con ordine: i più virtuosi, come spesso succede, sono i tedeschi. La Germania ha infatti autorizzato un aumento del deficit di 156 miliardi di euro, il 4,7% del pil. Di questi, 123 sono direttamente impiegati nell’economia: 60 miliardi di sostegno al reddito e alle famiglie, 50 alle piccole imprese e lavoratori autonomi, 7 alla sanità. A questi si aggiungono altri piccoli interventi che portano il totale a 123. 

La Francia invece ha per adesso messo in campo 45 miliardi di euro, cioè l’1,9% del proprio pil. La fetta più grande di questa torta, 32 miliardi, sono stati usati per rinviare il pagamento di molte tasse per un mese. 8,5 miliardi sono invece stati destinati al pagamento di due mesi di stipendio ai lavoratori temporaneamente lasciati fuori dai datori di lavoro, mentre 2 miliardi finanziano un fondo di solidarietà a favore delle imprese in difficoltà. I restanti 2,5 sono invece destinati ad altre misure minori.

Il Regno Unito ha finora approvato due diverse misure: la prima vale 30 miliardi (cioè l’1,4% del pil) per finanziare maggiormente il sistema sanitario nazionale (5 miliardi) a per sostenere le famiglie e le imprese (7 miliardi). I restanti 18 miliardi saranno poi gestiti tra il 2020 e il 2021 per far fronte alle necessità che si presenteranno. La seconda misura invece prevede tagli delle tasse e sussidi ad aziende e lavoratori per 20 miliardi (lo 0,9% del pil).

Infine la Spagna, l’unico Paese europeo più colpito di noi dal coronavirus, ha approvato il primo decreto di aiuti il 12 marzo: 18 miliardi, circa l’1,5% del pil. E presto, secondo quanto annunciato dal governo Sanchez, sono previste nuove misure. Come abbiamo visto quindi l’Italia è tra i paesi europei quello che finora ha destinato meno risorse in rapporto al pil al contrasto della crisi economica dovuta al coronavirus: l’1,1% del proprio prodotto interno lordo. 

Com’è possibile un divario simile coi nostri partner europei? E perché l’Italia ha fatto per adesso così poco? In realtà una spiegazione c’è, anzi due: la prima è l’enorme debito pubblico. La nostra economia siede infatti sopra a una montagna che supera il 135% del pil. In soldoni, significa che se l’Italia spendesse tutto quello che produce in un anno per ripagare il debito, ancora non sarebbe sufficiente. 

Nessuno dei Paesi che abbiamo citato supera nemmeno il 100%: la Spagna è al 98%, la Francia al 97, il Regno Unito all’88 e la Germania addirittura al 64%. Questo ovviamente rende per noi molto più difficile finanziare in deficit le misure, perché ogni euro preso in prestito dal mercato si porta dietro interessi da ripagare molto superiori a quelli dei nostri partner: è il famoso spread, quel differenziale di rendimento dei titoli italiani rispetto a quelli tedeschi e che viene spesso usato come misura della nostra difficoltà a rifinanziare i debiti.

Ma c’è un’altra ragione, ed è probabilmente quella più importante: l’Italia da ormai due settimane sta conducendo in prima linea un serratissimo braccio di ferro con le istituzioni europee per pretendere un intervento economico ampio e senza condizioni per sostenere tutti i Paesi. L’Unione europea fino a oggi è rimasta sostanzialmente a guardare, o peggio: tutti ricordiamo ancora la terribile gaffe della presidente della Bce Lagarde, “non siamo qui a chiudere gli spread”, che è costata alla nostra finanza pubblica un violento attacco speculativo. O le resistenze tedesche e olandesi a emettere i famosi Eurobond, strumenti per finanziare un debito europeo esclusivamente dedicato alla ricostruzione post crisi da coronavirus.

E questa potrebbe essere la ragione cruciale dell’attesa dell’Italia: spingere l’Europa ad adempiere al suo compito e sostenere i Paesi membri. Il premier Conte, sostenuto dai colleghi spagnoli e francesi, ha dato tempo all’Eurogruppo per decidere se e come muoversi ma ha già fatto sapere che “l’Italia è pronta a fare da sola”. Con un rischio però: che se come nella crisi del 2010 l’Unione europea non muoverà un dito se non a costi sociali altissimi (tutti ricordiamo ancora la crisi della Grecia e come questa ne sia uscita da anni di cura della Trojka) la sua esistenza potrebbe essere messa in discussione. Basta guardarsi attorno: sui social sono virali le immagini di cittadini e di qualche politico spregiudicato che ammainano le bandiere blu con le stelle. Se ci fosse oggi un referendum sull’adesione dell’Italia all’Ue, quale sarebbe il risultato?

Insomma l’attesa dell’Italia a varare nuove misure è giustificata dalla speranza di vincere questa battaglia. Non sappiamo come andrà a finire, ma dei rischi di un eventuale fallimento ne abbiamo parlato con il professor Saraceno nell’intervista di Giulia Innocenzi che potete rivedere cliccando qui: “Non si è imparato nulla dal trattamento imposto alla Grecia, i Paesi del Nord accusano ancora quelli del Sud di essere spendaccioni”, ci aveva detto. “Se si risolverà tutto con una prova di forza tra i Paesi del Nord e quelli del Sud, l'euro non sopravviverà”. 

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