Coronavirus, i paesi contrari al lockdown sono quelli che hanno più morti
Donald Trump, Boris Johnson (che poi si è ammalato, anche gravemente) e Jair Bolsonaro prima hanno paragonato il coronavirus a un’influenza e poi si sono opposti e hanno ritardato ogni quarantena in nome dell’economia. A pagarla duramente sono ora americani e britannici, primi e secondi al mondo per numero di morti. Mentre in Brasile la pandemia dilaga. E anche nella Svezia del no al lockdown e dell’immunità di gregge le cose peggiorano di giorno in giorno
“Il Covid-19 è meno grave dell’influenza. Non ci sarà nessuna emergenza e non sono preoccupato, è un virus che sparirà spontaneamente con il caldo”, diceva il presidente americano Donald Trump a inizio marzo. Lo stesso che ora è arrivato a consigliere di “iniettarsi disinfettante” e che ieri, 8 maggio, insisteva nel voler “riaprire subito tutto, anche a costo di molti morti” per dire addio nel nome dell’economia agli odiati lockdown, già in genere molti più blandi negli Stati Uniti che in Europa.
“Non cambierà niente”, gli faceva eco sempre a inizio marzo l’alleato primo ministro britannico Boris Johnson, che si è opposto fino all’ultimo anche lui, accumulando ritardi, alla quarantena di massa che ha appena dovuto prolungare per tre settimane. Il 13 marzo confermava la strategia del “tutto aperto” e del “business as usual”. Mentre il suo consigliere scientifico Patrick Vallance parlava di “una brutta influenza” e puntava direttamente all’immunità di gregge (lasciando libero il virus fino ad arrivare a un 60% di contagiati che avrebbe tutelato gli altri e portato però decine di migliaia di morti). Il 27 marzo poi Boris Johnson si è ammalato di coronavirus, è finito in terapia intensiva e ha raccontato di aver avuto paura di morire.
Dopo questi ritardi nel decidere il lockdown, che costava troppo all’economia, e sottovalutazioni del Covid-19, oggi gli Stati Uniti e la Gran Bretagna sono i due stati del mondo che hanno registrato più morti per coronavirus, rispettivamente 77.180 e 36mila (secondo un ricalcolo effettuato ieri nel Regno Unito), nonostante siano stati colpiti in pieno dall’epidemia dopo la Cina, l’Italia, la Spagna, la Francia e la Germania per esempio. Anche come numero di contagiati la tragedia Usa è enorme: i casi sono 1.283.929. Seguono la Spagna (222.587), l’Italia (217.185) e il Regno Unito (212.629), che come trend sembra destinato a breve al secondo posto anche in questa triste classifica.
Sempre ieri, 8 maggio, gli Stati Uniti hanno registrato un’impennata di 2.500 morti in 24 ore dopo qualche giorno di trend almeno in calo. E il virus sempre avvicinarsi anche alla cerchia di Trump: ieri è risultata positiva Katie Millner, portavoce del vicepresidente Usa Mike Pence, mentre il giorno prima è successo lo stesso a un membro dello staff del presidente che si occupa del cibo e del guardaroba. Insomma anche la stessa Casa Bianca sembra accerchiata dall’“influenza”.
Un’altra clamorosa sottovalutazione del Covid-19 viene da Jair Bolsonaro, ancora fortemente contrario alle misure di contenimento, che ha ridotto al minimo. Il presidente brasiliano è circondato pure da un mistero attorno alla notizia di una sua presunta positività circolata il 13 marzo (di sicuro da martedì scorso lo è il suo portavoce, il generale Otavio Rego Barros). Immancabile la definizione, risalente al 26 marzo, del Covid-19 come di “un’influenza di poco conto”: Bolsonaro continua a dirsi contrario con battute e violazioni a effetto alle misure di isolamento e distanziamento sociale e ha anche licenziato il ministro della Sanità Luiz Mandetta che le reclamava. L’epidemia di coronavirus sta esplodendo però negli ultimi tempi in Brasile: ieri ci sono stati 751 morti, non ce ne erano mai stati così tanti. E ci sono anche forti dubbi sui numeri reali dei decessi, difficili da conteggiare in particolare nella parte amazzonica e nelle favelas. Il paese, dove la pandemia è partita molto dopo rispetto a tanti altri, è già l’ottavo al mondo per numero di contagiati (146.894) e si avvia, come tutto l’emisfero australe, verso la stagione fredda che potrebbe peggiorare le cose. Bolsonaro sembra infischiarsene: dopo le critiche per aver organizzato una grigliata con una trentina di invitati, ha appena rilanciato: “Ho invitato tremila persone”.
A pagare la visione del Covid-19 come “un’influenza” e l’opposizione e i ritardi sul lockdown nemico dell’economia di questi tre leader sono stati e sono i cittadini americani, britannici e brasiliani. Si può discutere su quanto stringenti debbano essere le misure di distanziamento sociale e di quarantena, che infatti sono state declinate in maniera diversa in vari paesi. Dati alla mano però, il no e le sottovalutazioni dei leader di Stati Uniti, Gran Bretagna e Brasile sono la palese dimostrazione che, comunque vada, servono a salvare vite.
Un altro caso molto discusso è quello della Svezia. Contrariamente a Norvegia e Finlandia, i confinanti paesi scandinavi che hanno chiuso tutto, Stoccolma ha deciso di non adottare nessuna quarantena di massa puntando appunto su un lento raggiungimento di quell’immunità di gregge di cui si era parlato anche in Gran Bretagna. Il numero dei morti in proporzione alla popolazione, come potete vedere dal grafico qui sotto (fonte: OurWorldInData) è però molto più alto dei vicini. “È stato davvero una sorpresa, devo dire che non avevamo calcolato un così alto numero di morti”, ha detto mercoledì 6 maggio Anders Tegnell, l’epidemiologo a capo dell’Agenzia di sanità pubblica, che difende comunque la strategia della “mitigazione dolce” sul lungo periodo: “La seconda ondata da noi sarà meno critica e non avremo mai chiuso”. Molti dei decessi sono avvenuti nelle case di cura nonostante, con uno dei pochi divieti decisi in Svezia, le visite dei parenti siano state bloccate. Intanto l’economia, che è comunque in crisi globale e che doveva avvantaggiarsi invece dall’assenza di lockdown, non va meglio dei vicini. Con molti morti in più.