Coronavirus: “Mio marito contagiato: noi, positivi, lo abbiamo scoperto solo privatamente”
“Mio marito ha avuto il COVID-19, noi abbiamo scoperto di esserci ammalati solo perché abbiamo fatto il sierologico privatamente. Nessuno ci ha contattati dall’Asl”. Michela (nome di fantasia) racconta a Iene.it la vicenda della sua famiglia, con qualche ombra sulla nostra capacità di contenere i nuovi casi nella fase 2
Tra poche ore la tanto agognata riapertura delle attività economiche sarà realtà. Due mesi dopo l’inizio del lockdown, la nostra vita tornerà a riassaporare un po’ di libertà dal 18 maggio. Se n’è parlato a lungo di questo momento, e tutti sono sempre stati concordi su una cosa: per ripartire è necessario essere pronti a tracciare e contenere con rapidità i nuovi casi e focolai.
E ci sorge una domanda: siamo sicuri di essere davvero pronti a farlo? Perché non solo la famosa app Immuni non è ancora disponibile come vi abbiamo raccontato qui, ma anche le Regioni potrebbero non essere pronte a isolare i nuovi casi. Almeno, è questo che sembra emergere da una storia che è stata raccontata a noi di Iene.it. Una storia di persone che a marzo hanno avuto sintomi e come tante non hanno potuto all’epoca fare il tampone.
Michela (il nome è di fantasia), vive in Emilia Romagna. Il marito è un agente di polizia e “la scorsa settimana è stato convocato in ospedale per fare il test sierologico per il COVID-19, un test pungidito. Da quello risulta positivo agli anticorpi Igm - quelli che indicano una infezione in corso, ndr - e a quel punto si attiva il protocollo: prelievo del sangue e tampone”, ci racconta Michela. “Lui viene mandato a casa in quarantena in attesa degli esiti degli esami”.
Fin qui, normale procedura per il contenimento della pandemia. I problemi però, secondo il racconto di Michela, iniziano proprio da questo momento: “Gli dicono che sarebbe stato contattato il giorno dopo per l’esito degli accertamenti, e fino a quel momento sarebbe dovuto rimanere in quarantena”. Però “il giorno dopo nessuno si fa sentire”, ci dice Michela. “Mio marito allora si attiva in autonomia, scarica il suo fascicolo sanitario e scopre che sia il tampone che l’analisi del sangue sono negativi. Era invece positivo agli Igg, quindi aveva avuto il COVID-19 ma era guarito”. A questo punto lui potrebbe uscire dalla quarantena, però “l’assurdo è che nessuno si è fatto sentire” dall’Asl.
“A questo punto mio marito contatta il comandante, che gli dice che può rientrare a lavoro”, racconta Michela. “Ma si è dovuto attivare lui con il medico del lavoro per capire se era possibile: se non si fosse mosso da solo, sarebbe ancora in quarantena perché nessuno l’ha mai contattato”. Una storia che già così sembrerebbe mostrare qualche lacuna nell’organizzazione sanitaria. Ma la sua vicenda non è finita qui.
“Nessuno ha contattato me e le altre persone che viviamo con lui per sapere se avessimo avuto il coronavirus anche noi”, ci dice Michela. “Io e i miei suoceri siamo andati a fare il test sierologico venoso in autonomia, privatamente e a pagamento. Se lui era stato malato, magari anche noi potevamo esserlo o essere ancora contagiosi”. E l’esito non è confortante: “Anche io ho avuto il coronavirus ma senza gli anticorpi che segnalano l’infezione in corso. Mio suocero invece ha ancora il COVID-19”, ci racconta Michela. “Lui così viene messo in quarantena in attesa di fare il tampone”.
E per Michela? “La sera il mio medico mi ha detto che non dovevo fare la quarantena. Il mattino dopo mi richiama per dirmi che il protocollo è cambiato e devo mettermi in isolamento anche io e fare il tampone”. Così anche Michela entra in quarantena: “Non hanno voluto nemmeno sapere se avevo avuto sintomi o no. Eravamo cinque individui in casa e in tre siamo risultati positivi, lo abbiamo scoperto solo perché ci siamo mossi autonomamente. Dall’Asl non ci ha chiamato nessuno”.
Questa cosa non va giù a Michela: “Noi abbiamo pagato per fare questi accertamenti, privatamente”. Lei adesso è in quarantena in attesa degli esiti degli esami del sangue e del tampone: “Ho fatto ieri il test. Lunedì dovrei iniziare il nuovo lavoro, sono in attesa dell’esito del tampone. Non so se potrò partire, spero che mi aspettino”.
Ma il punto è un altro: “Se non ci fossimo mossi da soli, non avremmo mai saputo del contagio. Nonostante mio marito avesse fatto il coronavirus e avesse comunicato di essere convivente con altre persone, non abbiamo avuto nessun accertamento dall’Asl”, racconta Michela. “Ma come fanno a sapere che noi non ci siamo contagiati, o peggio ancora positivi? Si legge di persone che sono positive anche dopo mesi!”. Una cosa di cui anche noi de Le Iene ci siamo occupati, nei servizi di Alessandro Politi che potete rivedere qui. “Mia zia ha avuto il COVID-19 a metà marzo, è ancora in quarantena e positiva al tampone da 60 giorni”, ci racconta Michela. “Se non era per noi, rischiavamo di andare in giro a fare gli untori”.
E tutto questo a poche ore dalla riapertura dei locali. Siamo sicuri di essere davvero pronti e organizzati per ricominciare? “E’ tutto confuso, un macello”. Speriamo bene.