Coronavirus, il modello neozelandese e quei bunker dei super ricchi | VIDEO
A fine aprile la prima ministra della Nuova Zelanda ha dichiarato di aver vinto la battaglia contro il coronavirus, mentre il paese si apprestava a entrare in una fase di graduale e controllata riapertura dopo il rigido lockdown. Qual è il segreto del modello neozelandese?
Da quando, il 27 aprile, la giovanissima prima ministra neozelandese ha annunciato di aver “vinto la battaglia” contro il coronavirus, almeno per il momento, i paesi di tutto il mondo hanno guardato con interesse al modello adottato da Jacinda Ardern. Fin da subito la Nuova Zelanda ha imposto un lockdown molto rigido, iniziato il 25 marzo, quando nel paese erano stati registrati 102 casi e nessun morto. La rapidità nell’isolare le persone e i test a tappeto sembrano essere stata la chiave che ha permesso alla Nuova Zelanda di uscire vittoriosa dalla fase di allerta 4, la più dura, e passare dal 28 aprile alla fase di allerta 3, dove si sono allentate le restrizioni, ma sempre senza abbassare la guardia.
"L’obiettivo è di arrivare a riprendere i contatti sociali che ci mancano”, ha detto la prima ministra nel discorso con cui annunciava la fase di allerta 3. “Ma per farlo in sicurezza dobbiamo muoverci lentamente e con prudenza. Non c’è una trasmissione del virus diffusa e non rilevata in Nuova Zelanda. Abbiamo vinto questa battaglia, ma dobbiamo restare vigili, se vogliamo continuare così”. Per questo, sottolinea, la fase di allerta 3 “non è e non può essere un ritorno alla vita prima del Covid-19. Quel giorno arriverà, ma non è ancora il momento”.
Come hanno preso i neozelandesi le restrizioni imposte dal governo in un momento in cui i contagi erano ancora bassi? Giulia Innocenzi nell’ultima puntata di Iene.it lo ha chiesto a Salvo Bona, italiano che a inizio febbraio è andato lì con la fidanzata neozelandese. “Dopo quello che è successo in Italia, la gente l’ha presa accettato di buon grado”. Naturalmente, il modello neozelandese ha dalla sua il fatto che è un’isola, più controllabile e con una densità di popolazione molto più bassa di un paese come l’Italia, come sottolinea Salvo. “Essendo un’isola con 5 milioni di abitanti per il governo è stato molto più semplice isolare e poi la politica del governo neozelandese fin dall'inizio è stata quella di sconfiggere il virus, più che di contenerlo”. E tra le misure adottate, ci racconta Salvo, c'è anche quella per chi rientra dall'estero: "I residenti che tornavano dall'estero venivano presi dall'aeroporto, portati direttamente in un hotel a spese del governo neozelandese e messi in quarantena forzata e sorvegliata. La sorella della mia fidanzata, con il marito, sono in quarantena e non possono uscire dalla stanza, hanno una specie di 'ora d'aria' in cui vengono scortati dalla sicurezza. Fanno una passeggiata o attività fisica e poi rientrano".
Oggi, 5 maggio, la Nuova Zelanda ha un totale di 1.486 casi di coronavirus e 20 morti, secondo i dati della Johns Hopkins University, con zero nuovi casi nelle ultime 24 ore.
Il 19 marzo la Nuova Zelanda ha chiuso i confini, ma c’è chi è riuscito a raggiungere l’isola in tempo, e non si tratta di persone qualunque. Molti giornali hanno raccontato che diversi miliardari della Silicon Valley sono volati in Nuova Zelanda proprio per cercare un luogo sicuro dalla pandemia. È il caso di Mihai Dinulescu, fondatore di una startup di criptovalute, che il 12 marzo è salito su un aereo e ora vive a Waiheke Island in una casa a due piani con vista sull’oceano. Da anni la Nuova Zelanda è la destinazione scelta da alcuni super ricchi della Silicon Valley, terrorizzati da un’eventuale apocalisse. Qui persone del calibro di Peter Thiel, co-fondatore di PayPal, si sono fatte costruire bunker sotterranei extralusso.