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Coronavirus e frontiere aperte: ci tuteliamo davvero dai paesi vicini a rischio? | I DATI

Nonostante la seconda ondata di coronavirus sia ormai arrivata, i paesi dell’Unione europea hanno deciso di non chiudere le frontiere e prevedere solo, in ordine sparso, controlli e tamponi all’ingresso. L’Italia testa dal 18 agosto i passeggeri in arrivo da Spagna, Malta, Grecia e Croazia ma i rischi più importanti arrivano da Francia e Regno Unito

Spagna, Malta, Grecia e Croazia. Quando il 18 agosto il nuovo decreto del governo ha imposto il tampone per i viaggiatori in arrivo in Italia da questi quattro Paesi, la situazione della pandemia era ancora sotto controllo: i nuovi casi giornalieri erano sotto le 500 unità e le terapie intensive quasi vuote. La logica, quindi, era chiara: quei quattro Paesi erano mete turistiche ambite dopo mesi di lockdown ed era giusto controllare i viaggiatori per scongiurare il rischio di importare la seconda ondata.

Ma un mese dopo la seconda ondata si è comunque presentata alle nostre porte: l’Italia viaggia oggi stabilmente sopra i mille nuovi casi giornalieri di coronavirus, i pazienti in ospedale sono 1.719 e quelli in terapia intensiva 142. Insomma, la situazione è drasticamente cambiata. Quello che non è cambiato però sono i controlli all’ingresso del nostro paese.

L’elenco dei paesi a rischio, per cui bisogna controllare i viaggiatori, è sempre uguale dal 18 agosto: Spagna, Malta, Grecia e Croazia (a cui si aggiunge l’obbligo di quarantena per chi rientra da Bulgaria e Romania: le due nazionalità molto presenti nel nostro Paese). Per tutti gli altri basta un’autocertificazione se si arriva in aereo. Il periodo delle vacanze estive però è finito e il contagio non si è evoluto solo da noi, ma anche oltre le Alpi. E quindi, quali sono i Paesi vicini dove il Covid corre di più e da dove rischiamo di importare nuovi focolai, non essendoci l’obbligo di tampone?

Il primo e più importante è la Francia. I nostri vicini d’oltralpe sono primi in Europa per numero di nuovi casi e il contagio continua a crescere: negli ultimi 14 giorni sono 84.126 i positivi registrati, 4.203 solo ieri. Nemmeno la Spagna, che per adesso sta scontando il tributo più alto alla seconda ondata, ne ha registrati così tanti nelle ultime due settimane. E nonostante il ministro della Salute abbia definito “preoccupante” la situazione, il governo di Parigi sembra aver deciso di abbassare la durata della quarantena da 14 a 7 giorni, con la motivazione che “così sarà rispettata di più”.

Una scelta legittima, ma che dovrebbe destare preoccupazione per l’Italia considerando che condividiamo un confine fisico con la Francia, dal quale non viene nemmeno chiesta l'autocertificazione per varcarlo. Eppure non c’è indicazione che l’Italia voglia controllare l’ingresso delle persone provenienti da Mentone con il tampone. Il 30 agosto si discuteva di un protocollo bilaterale ma a oggi non ci sono state novità. Insomma, l’Italia permette accesso libero dal paese con il più alto numero di nuovi contagi in Europa. Forse perché la Francia è il principale partner economico italiano?

Ma non c’è solo Parigi a far paura, anche altri Paesi a noi vicini hanno contagi molto alti e non vengono effettuati tamponi alla frontiera. Anche l’Austria, in rapporto alla popolazione, ha numeri di nuovi positivi leggermente più alti dei nostri: sono stati 4.066 nelle ultime due settimane, per una popolazione di quasi 9 milioni di abitanti. Anche in questo caso però non ci sono tamponi obbligatori al confine: insomma, l’ingresso e uscita viene sbarrato per fermare i migranti ma non per controllare la pandemia.

Un altro pericolo però arriva da un Paese con cui l’Italia non ha confini fisici ma enormi scambi sia economici che di persone: il Regno Unito. Nelle ultime due settimane Londra ha registrato 21.510 nuovi casi di coronavirus, che ne fanno il terzo Paese in Europa per gravità della seconda ondata in numeri assoluti. Sono più di 200mila i nostri connazionali che vivono nelle terre di Sua maestà e Londra è il nostro quarto partner commerciale per valore di merci scambiate. Insomma, i movimenti dal Regno Unito verso l’Italia e viceversa sono intensi e anche in questo caso non c’è obbligo di tampone. È una strategia giusta, limitarsi a chiedere (a volte) autocertificazioni per chi viene da Paesi a rischio? O può essere una fonte di nuovi focolai?

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