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Coronavirus, lo studio conferma: "Le polveri sottili trasportano il virus" | VIDEO

Vi abbiamo parlato di questo studio in anteprima nell’intervista di Giulia Innocenzi ad Alessandro Miani, presidente di Sima. E adesso arriva la conferma: il particolato atmosferico trasporta il coronavirus. Una scoperta che apre la strada anche alla possibilità di capire in che zone si diffonde il contagio prima dell’esordio dei sintomi

Le polveri sottili presenti nell’aria trasportano il coronavirus. La conferma del legame tra la diffusione del COVID-19 e le zone più inquinate arriva da uno studio di Sima, la società italiana di medicina ambientale, di cui vi avevamo già parlato in anteprima in questa intervista di Giulia Innocenzi. Con una notizia forse ancora più importante: analizzare la presenza del coronavirus nell’aria potrebbe permettere di individuare la nascita di nuovi focolai epidemici ancora prima della comparsa dei sintomi nei malati.

Noi di Iene.it vi avevamo parlato dello studio che la Società italiana medicina ambientale sta conducendo, insieme all’Università di Bologna e quella di Bari, per analizzare il legame tra l’inquinamento e il coronavirus. “Siamo partiti dall’assunto che esiste già una grande e documentata ricerca internazionale che dimostra che le polveri inquinanti presenti nell’aria possono essere un trasportatore di alcuni virus”, ci aveva detto il professor Alessandro Miani, presidente della Sima.

La prima fase della ricerca mirava proprio a questo: è possibile che il coronavirus sia trasportato dalle particelle inquinanti presenti nell’aria? E i risultati parlano chiaro: “Abbiamo trovato il virus sul particolato atmosferico, grazie ad analisi compiute in provincia di Bergamo”, ci conferma oggi il professor Miani. “Adesso lo studio continua per cercare di capirne la virulenza”. Non è ancora certo, infatti, se il virus trasportato sia ancora contagioso o meno: “La seconda fase del nostro lavoro punta a comprendere proprio questo”, ci spiega Miani. Anche perché a oggi non si sa con certezza quanto possa sopravvivere il nuovo coronavirus esposto all’aria aperta.

Già adesso comunque questa scoperta potrebbe avere un risvolto molto importante: “Potrebbe diventare un modo per capire quanto il coronavirus si sta diffondendo in una determinata zona”, ci spiega Miani. “Se il virus si trova nell’aria, questo può essere usato come indicatore precoce per capire se si sta diffondendo di nuovo in una determinata zona e agire per evitare una nuova epidemia”. Eh già, perché se è vero che il COVID-19 ha un tempo di incubazione medio di circa una settimana, e al massimo di due, la presenza nell’aria del virus potrebbe invece essere registrata subito. Teoricamente uno strumento utilissimo per monitorare la situazione nella fase 2.

“Potrebbe anche essere preso come marker per analizzare la qualità dell’aria di spazi chiusi, come i centri commerciali, gli ospedali o i trasporti pubblici”, ci dice Miani. “L’ottica è di avere un ulteriore elemento di monitoraggio puntuale della diffusione del COVID-19. Noi anche solo respirando emettiamo droplet, le famose goccioline, e abbiamo prova che queste si legano al particolato nell’aria. Sappiamo che queste possono arrivare fino a 9 o 10 metri, motivo per cui è importantissimo usare in modo diffuso la mascherina”.

Potete rivedere la nostra intervista al professor Miani qui sopra o cliccando qui.

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