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Coronavirus, prigionieri in casa da quasi due mesi: “Fateci il tampone” | VIDEO

Iene.it raccoglie la video denuncia di Mirko e della sua compagna, due ragazzi della bergamasca, sospetti Covid e bloccati in casa da quasi 56 giorni, senza poter avere un tampone: “Non ci vogliono neanche a lavoro, qualcuno ci liberi”

Siamo in galera da 56 giorni senza aver commesso un reato”: Mirko, 38 anni, e la sua compagna ci raccontano così qui sopra, nel video che ci hanno mandato, la loro situazione.

Vivono insieme nel bergamasco, una delle zone d’Italia più colpite dal Covid-19. Ai primi di marzo Mirko comincia ad accusare alcuni sintomi: “Il 6 ho iniziato ad avere la febbre alta per una decina di giorni, tra 38,5 e 39,5. All’inizio la mia dottoressa mi prescrive una cura a base di tachipirina, dandomi anche le gocce per la tosse. La situazione non migliora affatto e così il 16 chiamo il numero dell’emergenza per l’ambulanza. Mi si erano aggiunti forti dolori al petto, nella parte centrale e un grande affanno. Vengono a casa e dopo avermi misurato la saturazione, mi spiegano che probabilmente è Covid-19 ma che i valori sono buoni e posso continuare a curarmi a casa”. 

Passa qualche giorno, la febbre scende ma i dolori al petto aumentano: “Mi sono fatto fare una lastra domiciliare al torace, dalla quale però non risultava nulla di anomalo. Mi consiglio con la mia dottoressa, sempre molto presente, e vado in ospedale per una Tac: ho la polmonite interstiziale da coronavirus”. Mirko avverte subito l’Ats, l’Azienda di tutela della salute di Bergamo, chiedendo di poter fare un tampone: “Mi rispondono che purtroppo non ce ne sono abbastanza per tutti e che deve essere la mia dottoressa di famiglia a fare la richiesta. Lei prova più volte a farlo, ma le viene risposto che la priorità viene data ai lavoratori delle aziende di prima utilità sociale”.

Mirko lavora nei servizi, mentre la compagna è una psicologa, quindi, stando alle indicazioni che sarebbero state fornite, non hanno diritto ad accedere a un tampone in priorità: “Continuo a curarmi con pastiglie antimalariche e punture in pancia, oltre a farmaci cortisonici. La mia compagna sta molto meglio di me, non ha avuto gravi sintomi ma è stata strettamente a contatto con me ovviamente”. A oggi sono 56 giorni che Mirko e la compagna sono reclusi in casa, senza la possibilità di sapere se sono ancora contagiati: “Mi hanno giustamente spiegato che, essendo segnalati come sospetti Covid, se uscissimo per fare la spesa e venissimo fermati, rischieremmo una denuncia penale”. 

Mirko e la compagna ovviamente non possono neanche tornare a lavorare: “Ci hanno ripetuto che non possiamo tornare al lavoro fin quando non ci verrà fatto un tampone che risulti negativo. Siamo entrambi in malattia con stipendio ridotto. Ho chiamato decine di volte e continuo a chiamare tutti numeri utili, mi dicono di continuare a insistere, ma ribadendo che la mia situazione non rientra tra quelle per cui è possibile attivare un tampone in urgenza perché non lavoriamo in aziende di servizi di prima utilità né tantomeno siamo operatori sanitari. Stamattina ho provato ancora chiamare l’Ats Bergamo, mi dicono che in Lombardia fanno solo 400 tamponi al giorno e per questo la mia dottoressa non riesce a inserirmi nella lista. Intanto rimaniamo qui reclusi in casa, da 56 giorni... Per fortuna abbiamo degli amici d’oro che ci aiutano con le necessità quotidiane e di notte compilo la lista della spesa online che mi faccio portare a casa. Ma è tutto così assurdo”

Alla fine, nel video che vedete sopra, Mirko fa un appello direttamente ad Ats Bergamo: “Fateci fare un tampone. Non possiamo stare in casa a vita e sinceramente non me la sento neanche di uscire, a parte tutti i rischi di denunce. Potrei essere ancora potenzialmente infettivo, noi abbiamo bisogno di tornare a lavorare!”.

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