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Coronavirus e privacy, monitorare gli spostamenti delle persone è giusto?

Per combattere l’emergenza mondiale del coronavirus la Corea del Sud invia sms abbastanza dettagliati in cui avverte in forma anonima sui luoghi che sono stati frequentati dai positivi al covid-19. Mentre la Cina ricorre al riconoscimento facciale. E in Italia a che punto siamo? Ne abbiamo parlato con un esperto

Cosa siamo disposti a rivelare della nostra vita e dei nostri spostamenti se la posta in gioco è contenere la diffusione del coronavirus? Quanto vale la nostra privacy? L’epidemia che il mondo sta attraversando non ha solo rivoluzionato le nostre vite, ma ci sta anche facendo riflettere sul giusto rapporto tra sicurezza e privacy. Una riflessione che nasce di fronte alle misure prese da alcuni governi in questi giorni, dalla Corea del Sud alla Cina, fino a Israele. Sono misure su cui si sta discutendo molto anche in Italia. Se da noi, infatti, le norme sulla privacy non permettono alcune delle misure adottate in questi paesi, anche in Italia si sta iniziando a impiegare la tecnologia per monitorare, in maniera anonima e aggregata, gli spostamenti delle persone per contenere il contagio.

È quello che da alcuni giorni si sta facendo in Lombardia, dove, attraverso la collaborazione con le compagnie di telefonia mobile, la Regione sta monitorando gli spostamenti dei cittadini. Il risultato fotografato attraverso questi dati è che in Lombardia la riduzione degli spostamenti sulle lunghe distanze è del 60%. Troppo poco, secondo il sindaco di Milano Beppe Sala, che ha nuovamente chiesto ai cittadini di restare a casa. Bisogna rimarcare però una semplice quanto fondamentale differenza tra questo utilizzo dei dati e quello che sta avvenendo in alcuni dei paesi che abbiamo citato, come vedremo più nel dettaglio tra poco. In Lombardia i dati sono raccolti in forma aggregata e anonima. Non c’è quindi nessuna informazione sulla singola persona. Attraverso questa analisi, la regione ha però potuto constatare il rispetto delle limitazioni agli spostamenti introdotti dal decreto del governo per arginare il contagio. Ma se da noi il tutto è avvenuto nel rispetto delle norme sulla privacy, tanto è bastato per aprire un dibattito e guardare con più attenzione a come la tecnologia viene impiegata in altri paesi per contrastare la diffusione del contagio.

Tra gli esempi più eclatanti c’è la Corea del Sud, dove il governo per contenere l’epidemia invia i “messaggi di orientamento sulla sicurezza”. Si parte da un monitoraggio volontario in cui vengono tracciati gli spostamenti delle persone infette utilizzando non solo dati Gps, ma anche le immagini delle telecamere di sorveglianza e transazioni di carte di credito. Il monitoraggio non parte da quando la persona, di cui non viene rivelato il nome ma il genere e la fascia di età, risulta positiva in poi: va anche a ritroso. Una volta risultata positiva, il sistema rintraccia e comunica tutti i luoghi che la persona ha frequentato dal giorno prima in cui si manifestassero i primi sintomi. Queste informazioni vengono poi pubblicate in forma anonima su un sito dedicato e inviati tramite sms alle persone che avrebbero potuto incrociare una persona infetta perché si trovavano negli stessi luoghi. Anche se non c’è nome e cognome, sono bastati i dettagli rivelati da questi sms a scatenare in alcuni casi il linciaggio e la “caccia alla persona” incrociando età, genere, luoghi frequentati (quindi il quartiere) e gli orari degli spostamenti. Ad esempio, un uomo di 30 anni risultato positivo sarebbe diventato bersaglio di insulti sul web dopo che in uno di questi sms si leggeva che era stato seguito fino alla stazione ferroviaria principale di Seul, noto luogo di prostituzione. Un’informazione poi corretta: era andato a mangiare in un ristorante.  

Fanno discutere molto anche le misure prese dalla Cina, che ricorre addirittura al riconoscimento facciale. Attraverso le telecamere sparse per la città, le autorità verificano chi indossa la mascherina e quali sono i luoghi che sta frequentando. Non solo, i sistemi di sorveglianza sono impiegati anche per tracciare i contagiati e i possibili nuovi contagi. Si tratta di modalità di controllo adottate in virtù di legislazioni molto differenti dalla nostra: in Europa ad esempio, grazie alla recente normativa in tema di privacy, tali metodi non sarebbero consentiti.  

Arriviamo a Israele, dove il governo il 17 marzo ha approvato il tracciamento dei cellulari dei cittadini per sorvegliare gli spostamenti dei pazienti risultati positivi al coronavirus e quelli sospettati di essere infetti con l’obiettivo di stabilire a seconda dei luoghi frequentati chi debba essere messo in quarantena.

Ma torniamo in Italia, da noi l’utilizzo di dati aggregati fatto in Lombardia rispetta le norme sulla privacy. Sarebbe mai possibile arrivare al sistema messo a punto negli altri paesi? Lo abbiamo chiesto a Alex Orlowsky, esperto di digital marketing e open source intelligence. “In Italia quello che è successo ad esempio in Corea del Sud non potrebbe avvenire, bisognerebbe cambiare la normativa. Ma lì hanno sbagliato più che altro nella divulgazione che hanno fatto dei dati. Non credo che sia la gestione in sé dei dati a creare problemi, anche perché siamo tutti tracciati già da anni dai social network per motivi pubblicitari, non vedo perché adesso scoppi questo ‘panico da privacy’. Per la prima volta questi dati invece di servire per venderci prodotti attraverso le pubblicità, serviranno alla collettività per la salute dei cittadini. Ovviamente i dati devono essere assolutamente anonimi e aggregati con parametri stabiliti dal garante della privacy”.

“Io credo che in Italia già con i dati che abbiamo a disposizione potremmo fare un lavoro utile nel contenere il contagio. Con le dovute cautele potresti chiedere il permesso alle persone infettate di essere geolocalizzate. Io non avrei problemi a dare il consenso. Cioè se fossi infetto da Codvi-19 e domani mi chiedessero di firmare la cessione dei miei dati di localizzazione direi di sì, come se mi chiedessero di donare il sangue o un rene per aiutare un’altra vita. Questi dati potrebbero essere utili per aiutare i cittadini in un momento di emergenza nazionale. Le tecnologie devono aiutarci, non opprimerci. I cittadini non devono avere informazioni specifiche sugli altri cittadini, ma il governo potrebbe allertare ad esempio chi ha frequentato un luogo a rischio”.

Intanto in Italia si stanno sviluppando tecnologie proprio volte a cercare di tracciare la nascita di possibili nuovi focolai. C’è ad esempio una nuova app, che segnala gli spostamenti dei contagiati. Attraverso le reti Gps e i sensori degli smartphone, sarà possibile monitorare gli spostamenti effettuati dai pazienti positivi e avvertire coloro che sono stati vicino a questa persona nei giorni precedenti. “Tutto questo avverrà chiaramente su base volontaria, garantendo l’anonimato e condividendo in tempo reale i dati ottenuti con la Protezione Civile”, spiega a StartupItalia Luca Foresti, ceo del Centro Medico Sant’Agostino, da cui nasce l’idea. Sulla privacy Foresti assicura: “Non è necessario inserire alcun nome, cognome o numero di cellulare per accedere all’app. Saranno sufficienti soltanto l’username e la password. In questa maniera, si preserva l’anonimato e i tracciati non vengono resi pubblici”.

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