Coronavirus: la Iena, la quarantena che non basta e quel protocollo | VIDEO
Vi abbiamo già raccontato con Alessandro Politi, la Iena colpita dal coronavirus, come i 14 giorni di quarantena dalla fine dei sintomi potrebbero non essere sempre sufficienti per la negativizzazione al Covid-19. Il protocollo però non è cambiato: questo favorisce nuove infezioni? Ci sono delle responsabilità?
Finalmente, dopo 49 giorni, il nostro Alessandro Politi si è negativizzato per il coronavirus. Adesso per essere dichiarato guarito c’è bisogno di un secondo tampone negativo. Ma tutta la storia della Iena ci ha mostrato come il tempo necessario per negativizzarsi dal Covid-19 può essere ben più lungo dell’ordinaria quarantena.
Visto che molti contagiati dal virus il tampone non l’hanno potuto fare, sono davvero sufficienti 14 giorni di quarantena per poter uscire di casa? Nonostante i molti casi che vi abbiamo raccontato, il protocollo non è cambiato di una virgola. “È l’Oms a indicare i 14 giorni”, spiegano al nostro Alessandro Politi. E in effetti è proprio l’Organizzazione mondiale della sanità ad aver dato questa linea guida.
Due settimane dalla scomparsa dei sintomi, la classica quarantena. La stessa che ha fatto Valentina, la fidanzata di Alessandro Politi che ha avuto gli stessi sintomi della Iena ma che non ha ricevuto un tampone nonostante sia stata un contatto stretto di un malato di Covid-19. Anche per Valentina dopo 14 giorni finisce la quarantena, nonostante viva in un monolocale con un malato accertato. Una cosa che lascia più di un dubbio, come potete vedere nel servizio qui sopra.
La cosa strana è che, sostengono dall’Ats, l’Agenzia di tutela della salute della Lombardia, nessuno sapesse che lei convive con un malato. Eppure l’Ats ha in carico tutti i casi di Covid-19: possibile che abbiano due liste, una con i malati e una con le persone in quarantena, che però non comunicano tra di loro? Se le cose stanno così, come fanno a fare la mappatura dei contagi? Fatto sta che a Milano i nuovi contagi da coronavirus sono il doppio della media. E ci viene da chiedere: chi decide il protocollo sanitario lo sa che i tempi di guarigione dal Covid-19 sono spesso ben superiori al periodo di quarantena? Quante persone infette possono uscire e inconsapevolmente infettarne altre?
E soprattutto, chi dovrebbe aggiornare il protocollo ma non lo fa potrebbe essere considerato responsabile di un fatto colposo? È esattamente quello su cui lavorano nello studio legale Romanucci&Blandin di Chicago, negli Stati Uniti. E questo anche perché in America, in fatto di quarantena, vanno ben oltre: dopo 3 giorni senza febbre si può uscire. Sarà anche per questo che a oggi gli Stati Uniti sono il paese con il più alto numero di contagi al mondo?
“Il nostro studio sta investigando per conto di quelle persone a cui è stato detto di non essere infetti quando invece potrebbero esserlo”, ci dice il socio dello studio Antonio Ranucci. “Stiamo pensando sia a cause individuali che a class action”. In Italia le class action sono molto più complicate, ma cosa si potrebbe fare? “Non rivedere queste linee guida potrebbe essere un fatto colposo”, ci dice il professor Federico Tedeschini dell’università La Sapienza di Roma. “Un fatto colposo produttivo di responsabilità in capo alle amministrazioni che lo applicano a coloro che ne subiscono dei danni”. Il Codacons sta già lavorando a un maxi esposto. Noi non sappiamo se ci saranno delle conseguenze, ma una cosa la sappiamo: nel frattempo ad Alessandro è arrivato il nuovo tampone. La Iena è guarita!