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Coronavirus, rivolte in carcere: “Non abbiamo armi per fermarle” | VIDEO

Le rivolte di questi giorni nelle carceri italiane non sarebbero causate solo dal sovraffollamento. Un agente della polizia penitenziaria ci racconta che mancano le misure per fronteggiare i detenuti

Non abbiamo i mezzi per fronteggiare le rivolte nelle carceri” ci racconta un agente della polizia penitenziaria che preferisce rimanere anonimo perché altrimenti, ci dice, “potrei avere serie ripercussioni”. L’agente ci ha contattati dopo le rivolte di questi giorni durante le quali 14 detenuti hanno perso la vita e oltre 70 sono riusciti a fuggire, di cui 4 sarebbero ancora ricercati.

“Non abbiamo lacrimogeni, non abbiamo fucili a pompa per sparare proiettili di gomma, non abbiamo i teaser. Abbiamo solo delle pistole che possono uccidere un uomo a 350 metri di distanza. Ma a cosa ci servono durante una rivolta?”.

Sembra quindi che i disordini di questi giorni siano l’inevitabile conseguenza di una prevenzione inadeguata, alla quale l'agente aggiunge anche un'accusa alla mancanza di buon senso. “Hanno cambiato dei mobili, tavoli e sgabelli, ma i detenuti spezzano le gambe di questi e li usano come mazze. Non si potevano scegliere i mobili facendo attenzione a questa eventualità?”

Forse ascoltare e soddisfare le esigenze della polizia penitenziaria avrebbe potuto evitare evasioni e morti. Su questo argomento l'agente carcerario ci fa notare un dettaglio a cui nessuno ha ancora prestato attenzione. “Foggia, Rieti, Modena, Bologna, Milano, tutti i problemi si sono verificati all’interno delle Case Circondariali”.  In effetti si parla sempre di carcere, ma è un termine molto generico che comprende anche le case circondariali. Si tratta di istituti dove vengono recluse le persone in attesa di giudizio, quelle condannate a pene inferiori ai cinque anni e quelle con un residuo di pena inferiore ai 5 anni. 

La prima considerazione riguarda il sovraffollamento di queste strutture. Paradossale se pensiamo che molti di questi detenuti, come ci ha spiegato Rita Bernardini in questa intervista, potrebbero usufruire degli arresti domiciliari.

La seconda considerazione che fa l'agente riguarda la tipologia di detenuti presenti nelle case circondariali. “Molti di loro sono in attesa di capire che ne sarà del loro futuro e non accettano il carcere. Non hanno ancora rinunciato alla libertà”. Parole che trovano riscontro anche nella storia dell’evaso più celebre della casa circondariale di Foggia, Cristoforo Aghilar, 36 anni, in carcere da solo 5 mesi per aver ucciso a coltellate la madre della sua ex. “Inoltre, le case circondariali sono piene di tossicodipendenti. Sono i detenuti più difficili da gestire. Durante le visite con i familiari molti ricevono delle dosi che consumano o spacciano. Un detenuto che mostra segni di squilibrio dovuti a sostanze stupefacenti o che spaccia destabilizza tutti gli altri. Purtroppo, tra le cose che mancano alla polizia penitenziaria c’è anche l’adeguato supporto delle unità cinofile antidroga”. L’ipotesi che uno dei motivi delle rivolte sia l’astinenza da sostanze stupefacenti è stata avanzata da molti in questi giorni. Come spieghiamo nel video qui sopra, la sospensione delle visite familiari potrebbe aver interrotto il passaggio di droga dentro il carcere provocando in alcuni soggetti delle crisi di astinenza. Durante le rivolte sono state assaltate le farmacie del carcere e sembra che la morte dei 14 detenuti di Rieti, Modena e Bologna sia avvenuta proprio in seguito all’overdose da metadone trovato lì dentro.

La situazione secondo lui “è critica”, ma “fuori sembra non interessare a nessuno cosa succede nelle carceri. Persino Barbara D’Urso in tv ha dichiarato di essere vicina ai detenuti, ma non ha speso una parola per chi ogni giorno lavora dentro le carceri per garantire che tutto vada bene”.

La D’Urso in realtà si è scusata pubblicamente per aver dimostrato vicinanza ai detenuti dimenticando la polizia penitenziaria. Durante le scuse però erroneamente si è rivolta a loro con il termine “guardie carcerarie”. Epiteto che le è costato la ramanzina di Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo della polizia penitenziaria (Sappe). Capece era in collegamento con lei per commentare le rivolte nelle carceri di questi giorni e dare voce agli agenti della polizia penitenziaria, che lui definisce “eroi silenziosi”.

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