Coronavirus, la strage nella rsa La Fontanella: perché così tanti morti? | VIDEO
Nina Palmieri ricostruisce le ultime settimane di emergenza coronavirus vissute nella residenza sanitaria assistenziale La Fontanella tra cambi di gestione, rassicurazione vane e purtroppo troppi decessi
“Non viene nessuno! Ormai sono alla fine delle mie forze”. È la richiesta di aiuto di Carla, una nonnina di 87 anni, ospite della residenza La Fontanella. Siamo in Puglia e qui vivevano anche Maria Luce, Paola, Maria Assunta, Lucia e un’altra ottantina di vecchietti travolti da una strage senza precedenti.
“Il coronavirus non c’entra, qui sono accadute cose che non dovevano succedere”, sostiene un parente di questi anziani. Una tragedia dal bilancio pesantissimo circa 90 ospiti quasi tutti contagiati e finora 15 morti. Sono tante altre le residenze sanitarie assistenziali sparse sul nostro paese dove si sono consumati veri e propri drammi. Con anziani morti soli, lontano dalle loro famiglie e finiti in bare anonime in attesa di essere cremati. In questo inferno se ne sarebbero andati quasi 7mila nostri nonni.
Nina Palmieri ci parla del caso della rsa La Fontanella, una struttura ritenuta d’eccellenza, dove i suoi ospiti pagano 1.500 euro al mese. Fino all’inizio di marzo va tutto bene fino al primo caso di coronavirus. “Noi lo abbiamo saputo dai giornali”, sostiene la nipote di un’ospite. Solo Lara sarebbe riuscita a parlare con la sua parente all’interno. “Ci diceva che per la colazione non passavano, probabilmente le cuoche sono state le prime ad abbandonare”. A un certo punto nonna Lucia racconta un dettaglio che la spaventa: “Mi ha detto che erano nella chiesa a mangiare tenendosi un vassoio sulle ginocchia”.
A quel punto i parenti provano a mettersi in contatto con il titolare della struttura. “Nelle camere non possono stare perché stanno facendo la sanificazione della stanze”, risponde don Vittorio. E questo potrebbe essere stato l’errore fatale perché ancora nel momento in cui parla non sono noti i risultati dei tamponi. Il 21 marzo muore la prima contagiata. Quattro giorni più tardi la situazione cambia. “Tutti gli operatori si sono messi in quarantena, la struttura è stata abbandonata”, sostiene la parente di un’altra ospite. La responsabile Federica Cantore e il titolare don Vittorio Matteo dichiarano di aver dovuto lasciare la struttura perché positivi al coronavirus.
A questo punto la gestione della rsa passa all’azienda sanitaria locale. “Io sono entrato venerdì 26 marzo”, spiega un operatore sanitario subentrato proprio in quelle ore. “Si aggrappavano e ti volevano parlare. Mi dicevano che non mangiavano da tre giorni. Era un lager”. Lo stesso racconto ci viene confermato da un operatore del 118: “I pazienti erano buttati a terra nel water. Erano nudi, non mangiavano da 4-5 giorni”. Il sindaco si affretta a tranquillizzare i parenti assieme all’Asl. “Sono messi in condizioni da non contagiarsi”, ma l’operatore del 118 sembra di tutt’altro avviso. “Non è vero che va tutto bene là dentro perché siamo 3 o 4 a turno forse. Un operatore con tutti questi pazienti che cosa fa? Niente puoi fare”.
Una situazione che sembra confermata anche dalle parole di Carla. “Siamo riusciti a mangiare solo oggi”, sostiene al telefono il 29 marzo, il quarto giorno con la nuova gestione. “Non mi hanno mai dato nessuna medicina. Sento i brividi dal freddo. Nessuno mi ha mai misurato la temperatura”. Il giorno dopo dalle sue parole sembra ancora peggio. “Chiamo aiuto e nessuno viene. Ho sete, c’è una bottiglia sul tavolo, ma non posso muovermi”. Carla riesce a passare il telefono a un operatore: “Il nostro problema è che siamo in pochi. Dovremmo essere almeno più del doppio”. Ci dice che sono in 6 per 80 ospiti. Nel frattempo sarebbero aumentati i morti e il numero dei contagiati. “Ogni giorno chiedevo una videochiamata, ma non me la facevano”, racconta Sabrina, la figlia di nonna Paola. “Si sono visti gli anziani uscire nudi a chiedere aiuto”. Paola morirà poche ore dopo. Anche nonna Carla peggiora e viene ricoverata in ospedale.