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Coronavirus, la seconda ondata risparmia la Cina: un successo tra realtà e finzione | I DATI

In Cina negli ultimi sei mesi si sono registrati poco più di 4mila nuovi casi, meno di 23 al giorno. Mentre tutto il mondo fa i conti con una seconda ondata che a volte è perfino peggiore della prima, a Pechino tutto sembra tornato alla normalità. La battaglia al coronavirus è stata condotta con fermezza dalle autorità, ma c’è ragione di credere che i dati forniti non siano veri

La seconda ondata di coronavirus sta risparmiando, in maniera evidente quanto dubbia, il paese dove l’incubo del Covid ha avuto origine: la Cina. Per avere un quadro della situazione basta leggere l’ultimo bollettino ufficiale diramato dal governo di Pechino, quello del 23 settembre: i nuovi contagiati sono appena dieci su una popolazione di quasi un miliardo e mezzo di abitanti. I casi totali attivi sono appena 367, 20 in meno del giorno precedente. E si è registrato un decesso, il primo da oltre una settimana.

E anche guardando i dati dall’inizio della pandemia la Cina risulta tra i paesi più virtuosi del mondo nella lotta al coronavirus: sono 90.409, con 4.738 morti. In rapporto alla popolazione, a Pechino possono fregiarsi di essere stati praticamente risparmiati dal Covid o quantomeno di aver saputo prevenirne il ritorno dopo la prima ondata, che comunque è stata molto più leggera che in altre aree del pianeta.

Un grande successo insomma. Le ragioni? Prima di tutto la rapidissima risposta all’emergere della crisi: la prima regione colpita è stato l’Hubei, dove si trova la città di Wuhan epicentro iniziale della pandemia, e li è stato applicato per mesi un rigidissimo lockdown. Si poteva uscire solo per andare al supermercato o in farmacia, con la mascherina, e in orari e giorni prestabiliti. E anche nel resto del paese ogni qual volta si accendeva un piccolo focolaio, anche di pochissimi casi, scattavano immediatamente misure restrittive severe. Ancora oggi inoltre gli ingressi di viaggiatori dall’estero sono limitati e c’è obbligo di quarantena e tampone per chi entra.

E poi ce n’è un altro: i dati forniti sono probabilmente falsi. Un’accusa non certo nostra, ma mossa già ad aprile dalla Cia. All’epoca, e sono passati quasi sei mesi, gli 007 americani guardavano con scetticismo ai numeri provenienti da Pechino che contava appena 86.361 casi contro i 190mila americani. E anche Italia e Spagna stavano peggio. Oggi gli Stati Uniti registrano un totale di quasi 7 milioni di casi, la Spagna quasi 700mila, l’Italia 302mila. La Cina come detto 90.409. In sei mesi quindi le autorità hanno registrato 4.100 nuovi casi, meno di 23 al giorno.

Leggendo quei numeri comunque la Cia è arrivata alla conclusione che i dati forniti dalla Cina fossero “intenzionalmente incompleti”. E a distanza di sei mesi il dubbio sembra diventare più forte: possibile che tutto il mondo stia affrontando una massiccia recrudescenza del virus, in alcune zone del pianeta persino peggiore della prima ondata, e in Cina stiano pensando di organizzare una grande parata per festeggiare la sconfitta del coronavirus? 

In realtà anche all’interno qualche critico c’è: è il caso di Ren Zhiqiang, imprenditore immobiliare e membro dell’establishment del partito comunista, che ha fatto circolare un pamphlet di critica al governo per la gestione della pandemia. Il libretto ovviamente è stato fatto sparire e Ren Zhiqiang è stato condannato a 18 anni di carcere per non meglio note accusa di “corruzione”. E nel frattempo è scomparso nel nulla, nessuno ha più sue notizie.

Se la Cina comunque non fornisse dati veri, sicuramente non sarebbe la sola: a giugno il Corriere della sera ha analizzato la letalità del coronavirus nei vari paesi del mondo paragonandola alla valutazione sul livello di libertà di Freedom House. E il risultato è stato curioso, anche se non sorprendente. I paesi dove c’è più libertà per i cittadini sono anche quelli dove si muore di più. Dove ci sono dittature, si muore di meno. Ieri in parlamento il primo ministro Boris Johnson ha sostenuto che il Regno Unito stia andando peggio di Italia, Spagna e altri perché agli inglesi “piace la libertà”. A quanto pare, anche al coronavirus.

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