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Coronavirus in Sicilia: “Aspetto il risultato del tampone da due settimane”

Il 17 aprile c’è stato un nuovo record di tamponi esaminati: oltre 65mila in un giorno. Eppure non in tutta Italia la situazione sembra uniforme, come ci racconta un sospetto positivo in provincia di Ragusa: “Io è da 15 giorni che aspetto il risultato del test, siamo sicuri di essere pronti per poter riaprire?

È da due settimane che aspetto il risultato del mio tampone”. A parlare con Iene.it è un insegnante che vive in provincia di Ragusa, che il 3 aprile si è sottoposto al test per sapere se è stato contagiato dal coronavirus: “Ho avuto un contatto diretto con un malato e quindi ho fatto il tampone. Da allora sono in quarantena in casa con la mia famiglia, ma non ho più avuto notizie”.

Una situazione paradossale, tanto più che il 17 aprile si è registrato il record italiano di tamponi processati: 65.705. È lecito pensare che non tutte le regioni siano però pronte allo stesso modo, almeno a sentire quello che ci racconta l’insegnante. “So di molte altre persone nella mia stessa situazione in Sicilia”, ci racconta Paolo (il nome è di fantasia). “Ho provato a contattare tutti, ma c’è sempre una scusa diversa: una volta mancano i reagenti, una volta c’è stato un ritardo. Il mio medico curante mi segue, ma intanto sono chiuso in casa da due settimane. Per fortuna ho gli amici che vengono a portarmi la spesa e a buttare la spazzatura”. 

Nell’attesa di sapere se quel test è positivo o negativo, l’ansia cresce: “Per fortuna stiamo bene, speriamo che il tampone sia negativo, però emotivamente è difficile restare così in sospeso. Oltre al disagio di non poter nemmeno uscire per le commissioni urgenti”. E c’è anche un’altra cosa: “Per fortuna io sono un insegnante e ho lo stipendio garantito. Ma se avessi bisogno di lavorare per guadagnare come farei?”.

Il problema purtroppo non è solo questo. Ce n’è anche un altro che pone Paolo, forse persino più urgente in vista della possibile riapertura delle attività dal 4 maggio: siamo davvero pronti a ripartire? “Se magari ci fossero duemila o tremila persone nella mia stessa situazione”, si chiede l’insegnante, “come facciamo a sapere quanti sono davvero i malati? Come facciamo a decidere di riaprire o meno se non abbiamo un numero chiaro dei malati? Sembra che ci sia un’incredibile sottovalutazione”.

Anche perché il governo starebbe pensando di permettere le riaperture prima nelle zone in cui i numeri del contagio sono più bassi. E nella grande maggioranza dei casi, queste zone sono a Sud dove magari i meccanismi dei test anti contagio potrebbero essere appunto non così rodati. Per poter ripartire è necessario però essere pronti a riconoscere e tracciare subito i nuovi contagiati per evitare una seconda ondata. Ripetiamo la domanda di Paolo: siamo sicuri di essere davvero organizzati per tutto questo? 

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