> External link Facebook Facebook Messenger Full Screen Google+ Instagram LinkedIn News mostra di più Twitter WhatsApp Close
News | di Matteo Gamba |

Coronavirus: i 201 focolai in Spagna e cosa potremmo aspettarci in Italia

Il boom di casi soprattutto in Catalogna fa paura. Analizzando i dati e cosa l’avrebbe scatenato possiamo imparare molto. Su 5 fronti, a partire dai cambiamenti dell’età dei contagiati, dal numero dei morti e dagli errori nelle misure di contenimento

La Spagna mette paura all’Europa e all’Italia per la ripresa dell’epidemia con 8.754 nuovi casi di coronavirus nell’ultimo weekend, il doppio del precedente, 201 focolai e l’allarme concentrato in Catalogna, con un aumento del 590% di contagi nelle ultime 24 ore. Qui si sta tornando a misure da lockdown e Barcellona si trova al centro di questa “seconda ondata” con 698 casi registrati il 20 luglio sui 994 di tutta la regione.

Siamo andati ad analizzare i dati su cinque fronti: morti, ricoveri, età dei contagiati, asintomatici e motivi di questa nuova esplosione del Covid. Per capire cosa sta accadendo e cosa può insegnare anche a noi italiani.

La Spagna è il 12° Paese al mondo più colpito dal Covid, secondo in Europa dopo la Gran Bretagna e prima dell’Italia, con 264.836 contagiati. Dal 10 maggio le misure di contenimento sono state allentate, l’epidemia sembrava tornata sotto controllo ma in luglio è ripresa con 25mila casi, che stanno aumentando di giorno in giorno. Un primo dato interessante è che però i morti non stanno aumentando con la stessa velocità.

Il 20 luglio, con 4.581 nuovi casi, si sono ci sono stati 2 decessi. Con una curva costantemente bassa, che non supera i 10 morti da un mese. Per capirci, il 31 marzo scorso le vittime erano state 929 e i contagi 7.434. La tendenza è confermata dai ricoveri che non seguono il picco esponenziale di nuovi casi (in una settimana si è passati comunque da 176 a 268). “Non abbiamo situazioni di stress” ha dichiarato nel suo bollettino quotidiano, per quanto riguarda la situazione ospedaliera, María José Sierra, portavoce del Centro di coordinamento degli allarmi e delle emergenze sanitarie.  

Perché tutto questo? La risposta sembrerebbe arrivare dal fatto che la maggioranza dei nuovi positivi è più giovane e asintomatica. Il quotidiano El Mundo riporta che il 60-70% dei nuovi positivi sono completamente asintomatici o hanno sintomi molto lievi: è molto difficile pensare che andranno in ospedale o che siano a rischio vita. Un’indagine della Red Nacional de Vigilancia Epidemiológica e dell’Instituto de Salud Carlos III riporta che il 66% dei nuovi contagiati ha meno di 60 anni. Come sappiamo, in questa fascia di età quasi sovrapponibile come percentuale, ricoveri e decessi sono molto bassi.  

Attenzione però, il diffondersi dell’epidemia può arrivare a colpire poi le fasce a rischio vita, i più anziani o le persone con patologie pregresse. Anche se questi nuovi trend potrebbero avvalorare pure le tesi, molto dibattute, di chi sostiene che il virus è “cambiato” e colpisce ora i più giovani. Sono comunque tutte lezioni importanti anche per l’Italia nel caso di una ripresa del trend dei contagi.

Sempre il quotidiano El Mundo lancia l’allarme per questa “trasmissione silenziosa” tra asintomatici e fasce di età più giovani e la Catalogna ha già preso contromisure invitando la gente a non uscire di casa se non per motivi indispensabili e ha proibito gli assembramenti di più di 10 persone.

Perché l’epidemia è ripartita? Oltre al caso, sotto accusa sono finite la scarsa efficacia delle misure di tracciamento dei nuovi contagi. E una diffusa insofferenza, soprattutto, tra i giovani, nell’uso della mascherina. “È meglio fare un passo indietro per tempo, invece che pentirsi poi. C’è sempre una percentuale di persone che, se non viene obbligata a rispettare le norme, non lo fa”, dice la virologa Margarita del Val a El País. Ancora più deciso Daniel López Acuña, professore della Scuola andalusa di salute pubblica, che non crede all’isolamento volontario degli abitanti di Barcellona: “Quello che sta succedendo è come un incendio che si sta espandendo, la priorità dovrebbe essere spegnerlo”. In genere viene criticato un certo lassismo sia nel tracciamento che nel distanziamento sociale da parte della Catalogna, che gode di un’ampia autonomia e che si sarebbe mossa in maniera differente rispetto al resto della Spagna.

“Ne ho le palle piene. In Italia la realtà è questa: il coronavirus non è più un pericolo. In Lombardia abbiamo un solo morto, vuol dire che non sta succedendo nulla" ha sbottato ieri in tv a In Onda su La7 Alberto Zangrillo, direttore della Terapia intensiva dell'ospedale San Raffaele di Milano. In Italia in effetti i numeri sembrano sotto controllo. Si registrano intanto tendenze simili alla Spagna. Tra i nuovi casi (129 ieri, 21 luglio) ci sono molti asintomatici. Il direttore del reparto Malattie infettive del policlinico San Martino di Genova, Matteo Bassetti, invita su Facebook a “non chiamare malati di Covid i soggetti asintomatici con tampone positivo”. “È sbagliato dal punto di vista medico, microbiologico e infettivologico. Sono soggetti sani, portatori asintomatici di Sars-Cov-2. Possono contagiare gli altri, se hanno quantità sufficiente di virus nel tampone, ma non sono un’emergenza sanitaria. Giusto che stiano in quarantena senza proclami e riflettori".

Anche in Italia si sta abbassando, e di molto, l’età media dei nuovi casi. Nell’ultimo mese il 60% ha meno di 50 anni stando agli ultimi dati aggiornati al 20 luglio dell’Istituto superiore di sanità. Recentemente si sta toccando un’età media di 43 anni, quando all’inizio della pandemia eravamo a 61 anni.

“Oggi in Spagna, domani in Italia” era il motto del 1936 preso dai fratelli Rosselli, parlando di rivoluzione socialista, durante la guerra civile spagnola. C’è chi teme possa tradursi, completamente in altri termini, per una ripresa del coronavirus. Fortunatamente, ribadiamo, i dati dicono altro. L’esempio e i dati che ci arrivano in particolare da Barcellona possono aiutarci comunque a non farci trovare impreparati.

Ultime News

Vedi tutte