Coronavirus, lo studio di Harvard: “L'inquinamento aumenta il rischio di morire”
Uno studio condotto dal dipartimento di biostatistica di Harvard ha trovato che l'inquinamento nell’aria aumenta la probabilità di morire di coronavirus
Le persone che si ammalano di coronavirus e vivono in aree inquinate, hanno più probabilità di morire rispetto a chi vive in regioni più sane. È quanto emerge da uno studio condotto dal dipartimento di biostatistica di Harvard.
Nello studio, il livello di inquinamento è misurato tramite la quantità di Pm 2,5 presente nell’aria. Il Pm 2,5 è una polvere sottile più piccola rispetto al Pm 10 e più pericolosa. La Fondazione Umberto Veronesi, infatti, spiega: “Mentre il Pm 10 raggiunge solo i bronchi, la trachea e vie respiratorie superiori, il Pm 2,5 è in grado di penetrare negli alveoli polmonari con eventuale diffusione nel sangue”.
Secondo lo studio americano, è sufficiente un microgrammo di Pm 2,5 in più per metro cubo, per aumentare il rischio di morire di coronavirus del 15%. L’aumento del rischio è legato al periodo di esposizione, e nello studio l’aumento del rischio riguarda infatti persone che per decenni hanno vissuto in un contesto dove l’aria è inquinata.
Si potrebbe obiettare che i luoghi più inquinati sono spesso le città, ed è ovvio che in città, essendoci più persone, si muore di più. I ricercatori hanno tenuto conto di questo e di molti altri elementi che avrebbero potuto confondere il risultato, tra cui proprio la densità demografica, il numero di posti disponibili in rianimazione, il numero di obesi, il numero di fumatori, i test eseguiti e altri fattori socio economici.
In Italia questo studio sembra trovare un riscontro. La pianura padana è la zona d’Europa con la più alta concentrazione di polveri sottili nell’aria ed è anche quella più duramente colpita dal coronavirus finora. Basti pensare che i morti in Italia sono quasi 18mila, di cui circa 10mila solo in Lombardia.
I ricercatori di Harvard ipotizzano che l’aumento della mortalità per chi vive nei luoghi più inquinati sia dovuto agli effetti negativi dell’esposizione continuativa alle polveri sottili.
Ci sono però altre ipotesi che legano l’inquinamento al diffondersi del virus. Il professor Miani, professore e presidente della Società italiana di medicina ambientale, ci aveva spiegato che “le polveri inquinanti possono essere un trasportatore per alcuni virus e quindi facilitarne la diffusione”.
Una buona notizia c'è: in questo periodo l'inquinamento è diminuito. Secondo la società francese Sia Partners, durante il lockdown la quantità giornaliera delle emissioni di anidride carbonica nei 27 paesi dell’Unione Europea è crollata del 58%.