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Coronavirus, nuovo studio: “E' più letale dove l'aria è più inquinata” | VIDEO

Con Giulia Innocenzi vi abbiamo portato a conoscere lo studio della Sima, che ha dimostrato come il particolato atmosferico sia in grado di trasportare il virus. Adesso una nuova ricerca aggiunge un ulteriore tassello: non solo l’inquinamento favorirebbe la diffusione del COVID-19, ma lo renderebbe ancora più letale

“Il coronavirus uccide di più dove l’aria è inquinata”. Uno studio - quasi interamente italiano - ha analizzato i dati di comuni e province italiane, tenendo conto di contagi e decessi, per cercare di capire se il virus fosse più letale laddove la qualità dell’aria è più bassa.

E i dati che sono stati raccolti parlano chiaro: nelle zone più inquinate la mortalità è il doppio di quelle dove l’aria è più pulita. “Le nostre stime indicano che la differenza tra province più esposte a polveri sottili (in Lombardia) e meno esposte (in Sardegna) è di circa 1.200 casi e 600 morti in un mese, un dato che implicherebbe il raddoppio della mortalità”, ha detto il responsabile dello studio, professor Becchetti, a La Stampa.

Lo studio, oltre che dal professor Leonardo Becchetti dell’Università di Roma Tor Vergata, è stato condotto da Gianluigi Conzo di Tor Vergata, da Pierluigi Conzo dell’università di Torino e da Francesco Salustri, del Centro di ricerca sull’economia della salute dell’Università di Oxford.

Un tema, quello del legame tra coronavirus e inquinamento, che noi di Iene.it stiamo seguendo da tempo: nell’intervista di Giulia Innocenzi (734796) ad Alessandro Miani, presidente di Sima, abbiamo scoperto che le polveri sottili trasportano il coronavirus. E se durante l’intervista si trattava ancora di una ipotesi di studio, i risultati che vi abbiamo raccontato qui hanno confermato quella teoria .

E sebbene non sia ancora noto se il virus trasportato dal particolato atmosferico sia contagioso o meno, questa scoperta potrebbe avere un risvolto molto importante: “Potrebbe diventare un modo per capire quanto il coronavirus si sta diffondendo in una determinata zona”, ci spiega Miani. “Se il virus si trova nell’aria, questo può essere usato come indicatore precoce per capire se si sta diffondendo di nuovo in una determinata zona e agire per evitare una nuova epidemia”. Eh già, perché se è vero che il COVID-19 ha un tempo di incubazione medio di circa una settimana, e al massimo di due, la presenza nell’aria del virus potrebbe invece essere registrata subito. Teoricamente uno strumento utilissimo per monitorare la situazione nella fase 2.

Il nuovo studio di cui vi abbiamo parlato aggiunge quindi un altro, inquietante, tassello. E se per gli autori al momento si può parlare solo di “rilevanza statistica” e non di ferrea correlazione di causa effetto, qualche certezza sembra emergere. “Il nostro studio trova un’associazione statistica molto significativa tra inquinamento, contagi e gravità degli esiti del COVID-19” ha aggiunto Becchetti. Un altro segnale, se ce ne fosse stato bisogno, della pericolosità dell’inquinamento nella vita di tutti i giorni.

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