Covid e visoni, emergenza in Danimarca. E l'Italia cosa aspetta a chiudere gli allevamenti? | VIDEO
Allarme e misure di emergenza in Danimarca dopo che 214 persone sono state contagiate dai visoni con una forma di coronavirus mutata. Il problema potrebbe riguardare anche gli allevamenti in Italia: due in Lombardia non rispetterebbero le norme igieniche necessarie e si conterebbero già due casi secondo la Lav. Che chiede al governo di vietare l'allevamento di visoni nel nostro paese
“Vietate definitivamente in Italia l'allevamento di visoni e di animali per la produzione di pellicce”. È l’appello della Lav, la Lega antivivisezione al governo italiano dopo l’emergenza che sta coinvolgendo la Danimarca dove 214 persone sono state infettate dai visoni con una forma di coronavirus mutata (12 in particolare da una variante che sarebbe meno sensibile agli anticorpi). Per questo sono stati vietati gli spostamenti di 280mila persone che vivono nella zona del nord dello Jutland vicino ai grandi allevamenti intensivi di questi animali, in un paese che è il secondo più grande produttore al mondo di pellicce dopo la Cina. Le misure sono state annunciate in diretta tv dalla premier Mette Frederiksen, assieme all’abbattimento di 17 milioni di esemplari.
Tutto sarebbe partito da un allevamento intensivo danese in cui migliaia di visoni convivono in spazi estremamente limitati. Qui il virus “trova un ambiente ideale per replicarsi, evolvere e dunque subire mutazioni”, spiegano dalla Lav. Gli animali si ritrovano a convivere in gabbie strettissime: non hanno spazio per muoversi, arrampicarsi o nuotare. Questa specie di carnivori semiacquatici si ritrova in queste condizioni a dover vivere anche tra i cadaveri dei loro simili. Stando in gabbia, basta solo che un animale sia infetto per trasmettere il virus a tutti i suoi simili.
“Questi piccoli carnivori sono stati chiamati in causa come una specie intermedia che potrebbe traghettare il virus dall’ambiente selvatico del pipistrello all’uomo” ci ha spiegato Sergio Rosati, professore di Scienze veterinarie all’università di Torino nel video che potete vedere qui sopra. “Le condizioni di un allevamento intensivo possono amplificare le infezioni, in una stretta promiscuità in cui il virus potrebbe adattarsi a una nuova specie ed essere fonte quindi di infezioni anche per noi”.
A questo si aggiunge il mancato rispetto delle norme igieniche in alcuni allevamenti: ci sarebbe personale che entra nelle gabbie senza alcuna protezione, né mascherine, né calzari o tute. Ma neppure le strutture seguirebbero le norme di sicurezza garantendo delle zone dove è possibile isolarsi tra l’interno e l’esterno dell’allevamento per igienizzarsi e decontaminarsi.
Questo problema riguarda anche l’Italia che conta oltre 60mila visoni. Ci sono 8 allevamenti: 3 in Lombardia tra Brescia e Cremona, 2 in Veneto tra Padova e Venezia, altrettanti in Emilia-Romagna e uno in Abruzzo. Secondo la Lav due allevamenti lombardi non avrebbero rispettato le norme igieniche con animali sofferenti e allevatori privi di protezioni. “Almeno due campioni prelevati nel mese di agosto dai visoni di un unico allevamento sono risultati positivi al Sars-Cov-2 e l’informazione è arrivata solo dopo i nostri numerosi e insistenti appelli e le nostre istanze di accesso agli atti”, fa sapere la Lav. Non è stata presa però alcuna decisione in merito “invece di avviare un rigoroso screening con test diagnostici in tutti gli allevamenti di visoni in Italia”.
“Ha senso continuare ad allevare migliaia di visoni per la produzione di pellicce consapevoli che può portare all’ulteriore diffusione del coronavirus anche in una forma mutata e potenzialmente più pericolosa?", si chiede Simone Pavesi, responsabile Lav Area Moda Animal Free. Alla sua domanda ne aggiungiamo un’altra: non è arrivato il momento di chiudere gli allevamenti di visoni, destinati alla produzione di pellicce? C’è chi è disposto a farlo come Massimiliano Filippi. “Se il governo decidesse di chiudere gli allevamenti, chiuderei anche il mio”, ci ha detto. “Ma dovrebbero dare un compenso per convertire l’attività”.