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“Mi avete fatto ammalare”. L'ultima lettera del detenuto morto a Voghera | VIDEO

“Una mattina mi sono alzato con un occhio pieno di sangue, nessuno mi ha visitato”. Sono le parole che Antonio Ribecco, morto di coronavirus nel carcere di Voghera, ha lasciato scritte dentro il suo bloc notes. Giulia Innocenzi ha intervistato suo figlio Domenico

“È da 15 giorni che sto male e nessuno mi vuole visitare”. Antonio Ribecco è morto il 9 aprile, si ammalato di coronavirus mentre era detenuto nel carcere di Voghera e il virus gli è stato fatale.  

Qualche giorno fa Giulia Innocenzi a Iene.it ha intervistato il figlio Domenico (qui sopra potete rivedere l’intervista), in questi ci ha contattato perché quando ha ritirato tutti gli indumenti di suo padre rimasti in carcere, ha trovato anche il suo bloc notes.

“Una mattina mi sono alzato con un occhio pieno di sangue, ho chiamato il dottore ma non mi ha voluto visitare. A distanza di tre giorni sto nuovamente male con febbre alta e mal di testa”. Le parole ritrovate dentro quel taccuino dal figlio, datate 16 marzo, farebbero pensare che Ribecco avesse già dei sintomi allora. “Mi hanno fatto una puntura, era antibiotico per la bronchite. Mi dicevano che non avevo niente e adesso esce la bronchite. Il dottore mi ha detto che è meglio prevenire, io gli ho detto prima mi fai ammalare e adesso mi dici che è meglio prevenire?”.

Antonio era arrabbiato, pensava che non si stesse facendo abbastanza per la sua salute: “Gli ho detto che se mi succede qualcosa io vi denuncio tutti. Gli ho detto che chiamavo la mia famiglia e gli avvocati perché io ero sano e non ho mai avuto neanche la febbre in vita mia e voi mi avete fatto ammalare”.

Antonio Ribecco nel carcere di Voghera era in attesa di giudizio con un’accusa molto grave, quella di essere il boss della ‘ndrangheta in Umbria. Domenico però puntualizza: “Mio padre poteva anche essere accusato di cento anni carcere, però il diritto alla salute non doveva toglierlo nessuno”.

La ricostruzione dei suoi ultimi giorni è stata fatta attraverso le lettere che è riuscito a far arrivare alla famiglia e alle testimonianze dei compagni di cella. “Quando hanno scoperto che stava male l’hanno messo in isolamento e lì non gli davano né da mangiare né da bere. Mentre l’ambulanza lo portava in ospedale gli è stato negato di telefonare a noi, la sua famiglia, oltre che un bicchiere d'acqua che aveva chiesto”.

Noi abbiamo contattato il carcere di Voghera per avere conferma della storia raccontata da Domenico e il direttore ci ha fatto sapere che “hanno fatto tutti gli interventi di competenza prontamente, nel rispetto dei tempi e modalità giudiziarie e amministrative e che l'istituzione non ha trascurato nulla”.

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