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Ecoballe: rischio disastro ambientale all'isola d'Elba | VIDEO

incubo eco-balle plastica cetacei

Il 23 luglio 2015 una nave battente bandiera delle isole Cook disperde in mare, nelle acque del golfo di Follonica, in Toscana, 56 tonnellate di plastiche compattate in ecoballe. Luigi Pelazza si immerge in quelle acque alla ricerca delle ecoballe che oltre a distruggere ambiente e fauna ittica ci costeranno milioni di euro di soldi pubblici 

Luigi Pelazza si immerge nelle acque del golfo di Follonica, un lembo di mare che separa la costa toscana dall'isola d'Elba. Lo fa per mostrarci come, accanto alla possibilità di avvistare balene, delfini, capodogli e addirittura rarissimi esemplari di orca marina, l’area, che è una zona protetta chiamata “santuario dei cetacei”, è minacciata da una montagna enorme di rifiuti.

Accade tutto il 23 luglio 2015 quando “una nave battente bandiera delle isole Cook parte dal porto di Piombino e porta 56 tonnellate di plastiche compattate in queste ecoballe. Sono dirette a un inceneritore della Bulgaria”. Poco dopo l'uscita dal porto la nave perde 56 ecoballe e il fatto ancora più grave è che il comandante della nave non avrebbe lanciato alcun allarme. “Si scopre di questa perdita quando il cliente in Bulgaria si rende conto che mancano e fa la denuncia", spiega ancora il sindaco di Piombino Francesco Ferrari al nostro Luigi Pelazza. "Ce ne siamo accorti quando un peschereccio ha pescato casualmente una di queste ecoballe”.

“C’era questa ecoballa esagerata", racconta il figlio di quel pescatore, "grossa quanto una Mini”. Una eco balla dal peso di circa 1.300 chili, impossibile da portare a bordo. “Si è deciso di tagliare questo sacco perché non c'era altra soluzione, è andata proprio giù a picco”. La Guardia costiera si reca sul punto segnalato e i militari rinvengono in fondo al mare una sorta di scatolone di circa 2 metri quadrati, avvolto da un cellophane bianco. Per tirare su quella ecoballa servirebbero macchinari particolari e considerato che le ecoballe sono 56, vorrebbe dire tantissimi soldi.

Il sindaco inizia a studiare le carte e si accorge che la nave era assicurata con una fideiussione di 2 milioni di euro, a garanzia dei danni che quel carico poteva provocare. “Peccato che nessuno ha mai attivato quella fideiussione e quando noi lo abbiamo scoperto mesi fa quella fideiussione era scaduta”, spiega ancora il sindaco.  Sul perché non sia stata sfruttata l'assicurazione c'è in corso un’interrogazione parlamentare, in cui si sostiene tra l'altro che “la polizza era depositata presso il ministero” dell’Ambiente. Il Ministero poteva non esserne a conoscenza? Sono passati 5 anni e la situazione, già grave, potrebbe diventare drammatica: “Alcune delle ecoballe si sono spiaggiate”, spiega ancora il sindaco.

“Sta succedendo che a causa dell'erosione e della salsedine il cellophane via via si sta rompendo e la plastica, tenuta insieme solamente da cavi, pian piano fuoriesce. E così, a riva, giunge di tutto”. Per capire meglio la situazione ci rivolgiamo ad Andrea, sub esperto ma soprattutto “cacciatore di relitti”. E con lui andiamo di persona a vedere da vicino quel “mostro”. Raggiungere i 40-50 metri di profondità non è affatto una passeggiata perché, oltre ai materiali che isolino completamente da acqua e freddo e garantiscano la sicurezza, servono anche una buona salute e la giusta preparazione. Siamo pronti ma Andrea e la sua squadra hanno deciso di offrirci il loro aiuto e la cosa ci fa stare più sicuri. Con noi c’è anche una biologa marina. Perché se da una parte è vero che il problema sulle coste è grave ed è sotto gli occhi di tutti, è anche vero che la plastica che rimane in mare si frammenta sempre di più, creando uno scenario ancora peggiore per chi in quell'acqua ci vive, i pesci.

“Potremmo rischiare anche un disastro ambientale", spiega la donna, "perché andrebbero a disperdersi nel mare le famose micro plastiche. Tu considera che non rimangono in superficie, le ritroveremo in tutta la colonna d'acqua”. “Qualche giorno fa nel canale di Piombino c'era un flusso di microplastiche, 2 metri, 3 metri sott'acqua”, conferma un pescatore della zona. “Quelle particelle poi vengono assorbite dai tessuti dei pesci e circa il 20% del pescato finisce sulle nostre tavole, quindi noi senza saperlo ingeriamo micro plastiche, dannose per il nostro organismo”, spiega ancora la biologa. 

Arrivati alla giusta profondità, ne avvistiamo una. E dopo un po' di perlustrazione ne individuiamo 6. Considerando che una decina nel corso di questi anni sono emerse in un modo o nell'altro, significa che delle originali 56 ne mancano all’appello ancora 40. A profondità così elevate non è un bene per la salute fare più di un'immersione al giorno: l'acqua là sotto è più fredda e la forte pressione fa respirare con difficoltà. E poi qualsiasi inconveniente potrebbe esporci sia a narcosi da azoto, cioè un'ingiustificata euforia a cui segue un'offuscamento della mente, che a embolia. Insomma, se vogliamo avere più chance di documentare la situazione bisogna immergersi con prudenza e pochi alla volta. E così facciamo.

La visibilità è scarsa, meno di un metro. Abbiamo steso il filo, abbiamo fatto anelli concentrici. Anche allontanandoci avremmo dovuto incagliarle se fossero state in zona. La faccenda è strana perché siamo esattamente su un punto di quelli che aveva registrato la Guardia costiera. E così entrano in acqua anche i sub della Guardia costiera, che ci supportano nella verifica dei punti. Ma nulla da fare, non si trovano.  La risposta a questa strana situazione ci arriva dai pescatori: “Ci si accorge di queste ecoballe nel momento in cui si arriva a salpare la rete, non nel momento in cui si agganciano perché la rete va in tiro, che c'è un peso. Di conseguenza c'è il rischio di tirar queste ecoballe per miglia e miglia”. Insomma, a distanza di 5 anni è un'operazione di recupero quasi impossibile.

Ci rendiamo conto che forse, ciò che tutti hanno visto finora con l'ecoscandaglio, potrebbero essere solo accumuli di melma, fango. Non rimane che portarci sui punti suggeriti dai pescatori e fare un ultimo tentativo, ma di eco balle nessuna traccia. “A noi ci vengono a guardare il sacchetto, la boetta", spiega amareggiato un pescatore, "e poi si lasciano 56 tonnellate di plastica in acqua”. Il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, spiega: ”È chiaro che si deve passar a una fase successiva. Certo, si poteva fare un po' di anni fa, però io posso rispondere di quello che come ministro ho fatto adesso”. E ci spiega che tecnicamente dovrebbe farlo la Protezione civile. E chi pagherà per il recupero delle ecoballe visto che l'assicurazione è stata fatta scadere? “Chiaramente paga lo Stato", spiega il ministro. "Ed è il motivo per cui abbiamo attivato gli uffici legali per recuperare quelle somme. Noi stiamo facendo tutto ciò che possiamo...”

La Protezione civile, in concreto, dovrebbe fare un bando per poter togliere le balle da sott'acqua, un bando che però significherebbe perdere altro tempo. Luigi Pelazza chiede ai pescatori: ”Sarebbe un'operazione sbagliata con le reti e cercare di recuperare queste ecoballe?”. “Sarebbe fattibile...vista l'urgenza…”. E se allora utilizzassimo proprio loro, i pescatori, come come soluzione a questo incredibile e urgente problema?

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